“Volevamo essere Maradona”: il confine sottile tra sogno e realtà

Molti ritengono che il calcio sia un gioco, una passione, un divertimento. In effetti, se ci si mettesse a riflettere sul significato intrinseco, sulla vera essenza di questo sport, si scoprirebbe che dietro un pallone di cuoio si nascondono una miriade di valori speciali. In particolare per i napoletani, il calcio va ben al di là del gioco o dello sport stesso. Negli anni si è dimostrato fonte di rivalsa sociale per un’intera popolazione che, tramite l’affetto e il sostegno verso la propria squadra del cuore, ha avuto modo di rinascere. Il Napoli degli anni ’80, quello che trionfava, che dimostrava di essere la squadra più forte d’Italia su tutti i campi dello stivale, fu una compagine che fece sognare milioni di persone. Il poter dire “Io c’ero” da parte di un singolo è un segno di autostima e gratificazione personale. Quello era il Napoli dei sogni, capace di distaccare la propria gente da una realtà monotona, sempre avversa al popolo partenopeo, e farla immergere nell’entusiasmo più totale. Quello era il Napoli degli scudetti, della Coppa Uefa, il Napoli che faceva sognare giovani e meno giovani, motivo di orgoglio per un’intera città. Indiscusso leader di una squadra stellare era, paradossalmente, il più piccolo di tutti: scarpette numero 38 nere, baricentro basso, calzoncini corti, maglia azzurra con il numero dieci sulle spalle e folta chioma riccia di colore nero. La descrizione rimanda subito al numero uno in assoluto, Diego Armando Maradona, l’oggetto del desiderio di tanti napoletani che avrebbero voluto conoscere, stringergli la mano o, magari, solo vedere dal vivo. “Volevamo essere Maradona”, il libro scritto da Rosario Cuomo, argomenta proprio questo desiderio tramite un tuffo nel passato suo personale, quando i pomeriggi si riempivano di ricche partite di calcio in una piazza di Agerola, trasformata, per l’occasione, nel teatro di epici match tra amici. L’intento era quello di giocare a calcio, poco importava se il campo era in pietra, piuttosto che in erba, poco importava se le porte non erano costituite da pali e traversa, ma da sassi. Si giocava sognando Maradona, a prescindere dalle inevitabili differenze sociali, cercando di emulare le sue prodezze, le sue gesta calcistiche e con la voglia di poter conoscerlo di persona.

Ma come nasce questo piccolo racconto?
“Volevamo essere Maradona vede la luce in maniera molto semplice e diretta; origina infatti dal frammento di un ricordo, la visita del pibe de oro, in pellegrinaggio “interessato” al mio piccolo paese, Agerola.” Ha affermato in esclusiva ai nostri microfoni l’autore Cuomo.  “Mi sono affidato soltanto alla memoria dell’infanzia, quella parte della nostra vita dove si sedimenta la personalità, il proprio modo di essere e di rapportarsi col mondo e con i suoi fenomeni. Niente di nuovo, l’aveva già adoperata scientificamente, come tecnica narrativa, Edmondo Berselli, giornalista purtroppo scomparso da poco, nel suo “Il più mancino dei tiri”, dedicato a Mariolino Corso..”

Ora cerchiamo di capire cosa ha rappresentato l’immagine di Maradona per gli scugnizzi napoletani:
“Maradona è stata la fonte d’ispirazione di milioni di azioni di gioco, sparse fra le piazze, i campetti ed i cortili dell’intera regione Campania, e non solo. E’ stato un sogno interrotto a metà; l’altra metà del sogno, in maniera sublime, l’ha realizzata proprio Diego. Ognuno, insomma, ha fatto la sua parte; la delega “onirica” nei suoi piedi, ad opera di chi bambino lo è stato nei ruggenti anni ’80, era nella naturalezza delle cose. Lui è la storia del calcio che ti passa accanto, ed in questa storia ti ci tira dentro a suon di magie.”

Quando il Pibe de Oro, infatti, in gran segreto, andrà a curare la caviglia malconcia proprio nel paesino campano di Agerola, lo scrittore, che allora era solo un ragazzino, insieme a tutti gli abitanti, rimane sconvolto, frastornato da un evento simile. E’ questo il succo del racconto di Rosario Cuomo che spiega al lettore, con uno stile che intreccia i toni intimisti alla descrizione di costume, come un sogno, che sembrava impossibile, quasi un’utopia, possa realizzarsi e rendere felici. “Si guarda al calcio, al di là del suo aspetto sportivo, come matrice di una società complessa che individua nella passione la via se non per la sua emancipazione, quanto meno per la sua voglia di vivere”. Il calcio per il Sud, per i paesi meno emancipati di altri, vuol dire di più: è quel confine, spesso sottile, tra sogno e realtà che rende migliori, che dà un motivo in più per cui vivere.

Rosario Cuomo segue il Napoli con la stessa passione di quando c’era Diego all’ombra del Vesuvio?

“Ad essere sincero sono un tifoso atipico, di quelli che raramente si incontrano fra gli spalti, e quando ciò accade vengono spregiativamente definiti “sportivi”. A Napoli furoreggia da sempre il tifoso “malato”. Mi piace ritornare ancora una volta alla fanciullezza, quando il gioco di identificarsi completamente col proprio idolo dura 24 ore su 24, ti assorbe, vive con te. Mentre sto rispondendo a queste domande, per esempio, sento il mio nipotino che tira calci ad un pallone in cortile, facendosi un’autoradiocronoca fedele e sicuramente sentendosi un piccolo Cavani; in ciò lo aiuta senza ombra di dubbio la fase della vita che sta attraversando, compreso  l’album dei calciatori che sta cercando di completare, con la figurina del Matador che, fortunatamente, fa capolino spesso fra il profumo della colla adesiva, e non come succedeva a noi con Maradona, che ci sfuggiva sia dal vivo che su carta. Insomma la purezza e l’autenticità del tifo l’ho ormai smarrita; ho passato il testimone ai nuovi sognatori.”

E per quanto riguarda i progetti futuri?

“Sto accumulando ancora materiale per un’idea che mi è venuta mentre, in questi mesi, andavo in giro a presentare “Volevamo essere Maradona”; è scoccata una scintilla, dalla quale vorrei tirar fuori un bel fuocherello. Poi c’è la collaborazione con gli amici di Aste e Nodi e la loro iniziativa Nomi,cose, città , un modo nuovo di far conoscere ed apprezzare Napoli, che scaturirà in un’insolita guida alla città e della quale avremo una sorta di anticipazione nel corso di questo Maggio dei monumenti. In ultimo, ma non per importanza, c’è un progetto molto ampio ed originale sul mondo del lavoro, ideato da un caro amico ed al quale non farò mancare il mio modesto contributo. Lo scrittore in definitiva è solo; il suo lavoro si può apprezzare solo dopo che lui se ne è liberato.”

Servizio a cura di Stefano D’Angelo

 

Vesux

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