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Vidal: “Maradona? Meglio Messi, ha vinto di più. Sfida con il Napoli? Sarà difficile…”

L’isola di Arturo è la Juventus. E su quest’isola Arturo Erasmo Vidal Pardo, 26 anni il 22 maggio, sta a guardia del muro (perché il mondo è pieno di muri e su ognuno c’è un uomo con il fucile). Fuor di metafora, in una squadra c’è sempre bisogno di uno così, avanti e indietro a tappare i buchi e a mettere la freccia. Alla Juventus il ruolo è suo; Arturo, però, ribalta immediatamente questa immagine di aggressivo azzannatore di spazi e di caviglie, descrivendosi, lontano dal furore agonistico, come un tranquillo padre di famiglia, dedito a moglie, figlio, biliardo e bowling. Tempo (e Conte) permettendo. «Quando sono a casa mi piace giocare con mio figlio Alonso – no, il nome non c’entra con la Formula 1 – che, per ora, al pallone preferisce i supereroi, adesso è Spiderman; o guardare un film di Steven Seagal con mia moglie Maria Teresa».

Azione sempre e comunque. E se invece si concedesse un momento vero di relax? Dica l’attrice con cui andrebbe a cena. «No, no, per favore, se lo sente mia moglie mi ammazza…». Via, Arturo Vidal non ha paura di niente. «Solo in campo, in realtà sono un buono». Si fa fatica a crederlo con la cresta che pare la criniera di un elmo. Vidal è il guerriero di Madama. Il soprannome gliel’hanno dato a Leverkusen, dove è arrivato nel 2007 dal Colo Colo, Santiago del Cile. Gli occhi stanchi, ma nel cuore il sereno. Nessuna nostalgia per quello che si era lasciato alle spalle. «È stato un viaggio lunghissimo, non finiva più. Venti ore. Durante il volo sognavo e speravo che il sogno non finisse mai più». Il sogno era l’affermazione in Europa, la culla del football, la terra di bengodi per il pallone, con i campionati dove non solo diventi ricco ma anche famoso. E il sogno, dall’estate del 2011, è continuato alla Juventus. «La squadra più forte d’Italia. Qua sono e qua voglio restare a lungo, per vincere ancora tanto con questa maglia». Forse lo dice perché ha sentito che in Germania (e non solo) lo rivogliono indietro. Nell’estate del 2012 il Bayern Monaco ha offerto 30 milioni per questo lottatore di centrocampo che ha sempre giocato lì, nel mezzo, una vita da mediano ma con i piedi buoni. Non solo a recuperare palloni ma a infilarli in porta: da quando è alla Juve, ha segnato, in totale, 17 gol. «Ho sempre ricoperto lo stesso ruolo, anche quando ho cominciato, nel mio quartiere».

San Joaquin. «Un barrio poverissimo. Davanti a casa mia c’era il campo di terra, diciamocosì, del Rodelindo Roman, la squadra locale. Lì ho cominciato. Mi ricordo le partite con un pallone che, di un pallone da calcio, aveva la forma, ma il resto non so».

Fu suo zio, Victor Hugo a portarlo al Colo Colo. «Per la mia carriera ringrazio lui, mia madre, la mia famiglia, il mio procuratore». La mamma, Jaqueline, soprattutto, che l’ha cresciuto con le sorelle dopo l’abbandono del padre. Il primo stipendio Arturo lo ha diviso in due. «Metà l’ho dato alla mamma. Con l’altra sono entrato in un supermercato e ho comprato di tutto e di più».

La cresta è opera sua (nel senso che è un suo copyright), le strisce che ora la rendono più importante del suo parrucchiere di fiducia. Il «Guerriero Cileno», come lo chiamavano in Germania, si è ben adattato a Torino e all’Italia, che, però «non ho avuto il tempo di visitare. Mi piace tutto, il clima, il cibo, la gente, i tifosi che sono come quelli cileni, calienti». E, soprattutto, la Juventus. «La squadra più forte d’Italia» ripete. Sì, però, quando Arturo è arrivato, Madama veniva da due settimi posti diversi per motivazioni (uno alla fine di un ciclo, l’altro all’inizio di uno nuovo), egualmente deludenti. Lo scudetto sembrava lontano. Non per lui. «Ma io conosco la storia della Juventus, qualche anno fa era la più grande e lo sarebbe ridiventata».

La scoperta del calcio italiano. «Squadre che giocano la palla, ogni partita una battaglia e il tifo speciale. Me gusta».

Vidal è diventato subito protagonista. Se lui non gira, fa fatica tutta la squadra. Ride.«Non sono io che devo dirlo. Ma è così».

Non aveva un idolo. «Nel mio barrio non c’erano molti televisori, quindi di altri campionati vedevamo poco».

Però gli piacevano Zidane, in assoluto, e Makelele, per il ruolo. Alla Juve non ha un compagno da portare in palmo di mano. «Non ci starebbero tutti. Accanto a me ho calciatori fortissimi. È per questo che abbiamo vinto».

La forza della Juventus? «L’unione del gruppo. Sia in campo che nello spogliatoio c’è grande sintonia». Se non il più forte, almeno il più simpatico? «Simone Pepe». Antonio Conte lo ha fatto crescere. «Mi ha aiutato molto, mi ha sempre spiegato tutto, su come voleva che giocassi. Bravo ma esigente».

Talvolta fa suonare la sveglia all’alba. «Così deve essere per vincere». Però anche un guerriero qualche volta avrà pensato, in mezzo alla fatica degli allenamenti contiani, «adesso basta». Sussurra: «Magari lo pensi, però non lo dici e tiri avanti». Per riprendersi c’è il suo piatto preferito: pasta alla carbonara. Della sua avventura italiana ha incorniciato la doppietta alla Roma nel 4-0 del 2011-2012, mentre gli è rimasto qua, come un’infamia, l’autogol, sempre con i giallorossi, all’andata su tiro di De Rossi. Via, una deviazione sfortunata, che sarà mai? Ma Arturo scuote la testa, il ragazzo sul muro non vorrebbe far passare nulla. Soprattutto il Napoli, venerdì. Vale lo scudetto. «No, dopo ci sono ancora 11 partite, 33 punti. Troppi. Il Napoli è una squadra forte, gioca bene al calcio, ha giocatori pericolosi, su tutti Cavani e Hamsik, quelli che sanno segnare. È una partita aperta, me la immagino intensa, combattuta fin dall’inizio. Come il 3-3 del 2011. Quella gara ci ha aiutato molto: rimontare da 0-2 e da 1-3 ci ha dato consapevolezza».

Come affrontare il Napoli, istruzioni per l’uso. «Come sempre, da Juve. Andare avanti, non mollare».

Un pronostico? «Molto difficile, chi gioca meglio vince».

A Napoli è arrivato Maradona. «Non l’ho mai visto, qualche filmato qua e là, ma penso che Messi, per quello che ha fatto alla sua età, sia molto meglio. A 26 anni ha già vinto tutto».

Dopo la Juventus verrà il Celtic. Una formalità. Come si dice scaramanzia in cileno?Vidal non sa dove mettere le mani: non ci sta a vedersi già nei quarti. Però se la Champions è sogno, la realtà è che «la Juventus può giocare con tutte le squadre alla pari: abbiamo sicuramente i mezzi per vincere».

 

Fonte: Corriere della Sera

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