Non nascondo di essere rimasto leggermente sorpreso quando domenica mattina, dopo aver controllato le notifiche su Facebook, mi ritrovo in home lo stato di un mio contatto turco: “No To Racism! Balotelli Turkey Lovers”. Al primo impatto non do neanche peso e quella “notizia”. Invece quello che si sta scatenando sui Social Network è un qualcosa che va oltre l’immaginabile. La pagina fan della SSC Napoli e quella di Gokhan Inler, che aveva postato la foto della sua esultanza, sono letteralmente invase da commenti identici. “No To Racism! Balotelli Turkey Lovers” comincia a comparire un po’ dappertutto . Centinaia di commenti simili, tutti inviati da fan turchi di Balotelli. Una delle classiche “trollate” che popolano il mondo dei Social Network? Assolutamente no. Perché di lì a poco si viene a sapere che, erroneamente, i commentatori della tv turca hanno associato il pianto di Balotelli a dei presunti cori razzisti. Ora, per chi ha visto la partita in televisione, e soprattutto per chi ha vissuto almeno una volta l’atmosfera del San Paolo, la notizia è subito bollata come un falso. Balotelli è si stato fischiato, ma come sono stati fischiati le centinaia di giocatori che hanno calcato il terreno del San Paolo da avversari. Nessun coro “razzista” è mai partito dagli spalti del San Paolo, né sabato né in altre occasioni. E, diamo a Cesare quel che è di Cesare, nessun commentatore italiano ha mai associato il pianto di Balotelli a insulti sul colore della pelle.
Eppure quell’errore dei colleghi turchi scatena una reazione imprevedibile. E il clamore di questi (non)cori raggiunge anche i profili Twitter ed Instagram di Felipe Melo e Jerome Boateng. Anche loro pronti, senza sapere cosa sia successo, a difendere a spada tratta il collega Balotelli da quei beceri (non)cori. Finita? Per niente. La bolla continua a crescere, fino ad arrivare oltreoceano. Nonostante la SSC Napoli abbia tempestivamente diramato un comunicato ufficiale in cui si escludeva categoricamente l’intonazione di qualsivoglia coro razzista nei confronti di Balotelli, da Twitter e dagli Usa arriva il secondo atto di questa surreale telenovela. E’ la nota (almeno oltreoceano, visti i 200mila followers) “writer” Mona Eltahawy a lanciare il tweet della discordia. “Shame Napoli, Shame” (Vergogna Napoli Vergogna). Ma per cosa? Ah, giusto per i (non)cori! Ed ecco servita la guerra virtuale, con i napoletani pronti a controbattere colpo su colpo all’arrampicata sugli specchi della Eltahawy. Un crescendo di tweet, retweet e preferiti che sfocia in un crogiolo di articoli sul razzismo negli stadi italiani. Peccato che si citino episodi avvenuti in altre parti della penisola, come nel caso dei cori razzisti di Busto Arstizio ai danni di Kevin Prince Boateng. Una cosa che lascia quantomeno sorridere, visto il complicato rapporto tra il razzismo, l’Italia e la città partenopea. Napoli, la città che subisce cori razzisti in molte parti d’Italia, è additata essa stessa di razzismo. La vittima che diventa carnefice, fornendo al contempo una cattiva pubblicità proprio a quelli che sono i suoi reali carnefici. Un po’ paradossale. Ma il punto più alto della vicenda deve ancora essere raggiunto. Uno dei tanti retweet è fatto niente poco di meno che dal profilo di TheObamaDiary.com, una specie di profilo semi-ufficiale di Barack Obama, il presidente degli Stati Uniti d’America.
Chi sa se i telecronisti turchi erano coscienti che il loro errore, certamente in buona fede, avrebbe scatenato tutto questo pandemonio. Balotelli tace (pubblicità gratuita?), i napoletani si sentono (giustamente) offesi per un qualcosa che non hanno commesso e che, anzi puntualmente, subiscono. L’Italia intera, che di certo non riserva un buon trattamento a Napoli, si trova, proprio per un errore legato a Napoli, ad essere “sputtanata” davanti a mezzo mondo, con i suoi comportamenti razzisti (e purtroppo non è un errore) messi a nudo davanti all’impietosa inquisizione del popolo di Internet. Nessun vincitore, solo un grande sconfitto: proprio Internet. Ci duole dirlo, specialmente noi che su questo straordinario mezzo ci lavoriamo, ma la rete, in questo caso, ha fallito. Le notizie si propagano velocemente. Una persona negli Stati Uniti può istantaneamente avere accesso ad una notizia. Ed anche il pianto di un calciatore che, forse, rende questo sport, pieno di scandali e petrodollari, più umano, può fare il giro del mondo ed essere condiviso da milioni di utenti. E dietro quel pianto una notizia a disposizione di tutti. Peccato solo che la notizie era falsa!
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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