Mazzarri: “In dieci anni da allenatore non ho mai sbagliato una stagione”
„Il tecnico azzurro ammette di stimare Mourinho e Luis Enrique tra i colleghi“
“Ulivieri mi volle a Napoli come vice e mi presentò così: vi ho portato un ragioniere. Perché io sono così. Ragiono e ragiono. E poi ragiono. Non capisco quelli che dicono: giocare in Borsa. Io non gioco, io i soldi li investo. Un giorno ho spiegato una mia idea a un direttore di banca e quello mi ha detto: lo sa, non ci avevo mai pensato”.
Buongiorno, Mazzarri. Le dispiace se, al di là della sua natura pragmatica, la chiamo l’uomo dei sogni? Il suo, in panchina, è partito nel 2001, da Acireale, e dieci anni dopo l’ha portata con il Napoli in Champions League.
«Dieci anni. E sa quante stagioni ho sbagliato? Nessuna. Lo scriva, lo scriva. A Reggio Calabria, quando ci siamo salvati partendo da -15, hanno
fatto la festa e sa come l’hanno chiamata? Festa scudetto. Mi ha dato tanta soddisfazione. Dieci stagioni, zero sbagliate. È nei fatti».
Però ce ne saranno state di migliori e di peggiori. O no?
«Io le vedo come un lungo filo, quello della mia carriera. Per giudicare un allenatore, così come dovrebbe avvenire per qualsiasi lavoro al mondo, bisogna tenere conto di tutto quello che uno ha fatto, non degli ultimi sei mesi. E poi bisognerebbe calcolare le carriere attraverso quella che io chiamo la classifica comparata».
E sarebbe?
«Si prende il monte ingaggi di una squadra e lo si compara con il risultato ottenuto in classifica. Hai il monte ingaggi più alto e vinci il campionato:
hai fatto il tuo. Hai il secondo e arrivi sesto: hai fallito. Hai il sesto e arrivi terzo: sei stato più bravo di chi ha vinto lo scudetto con uno squadrone».
Detta così sembra un discorso pro-Mazzarri…
«È un discorso logico, non ci sono né pro né contro. Mi permetto di fare il nome di Aronica perché è un ragazzo che conosco come le mie tasche
e che ho portato dalla Reggina fino agli ottavi di Champions League. Aronica al Napoli guadagna poco più di quello che prendeva a Reggio
Calabria. Però ha marcato Ribéry, Balotelli, Giuseppe Rossi…».
Chiaro. È più facile riuscirci con Thiago Silva, vero?
«Capisco dove vuole arrivare. Mi vuole fare litigare con Allegri? I livornesi, i rivali, Milan-Napoli…».
Non vogliamo farla litigare con nessuno. È lei che ha detto che, tra colleghi, non ci può essere amicizia.
«Lo pensano tutti, ma poi lo dico soltanto io. E dicono che sono antipatico, che non riconosco il merito altrui, che non so perdere…».
Però le dà più fastidio quando le dicono che il Napoli gioca bene solo in contropiede.
«Certo, ma perché quella è una falsità bella e buona. Prima venivano a Napoli e se la giocavano, adesso si chiudono dietro in dieci e esultano
per un pareggio. Anche le grandi squadre, sa? Ma per me è un vanto, vuole dire che siamo cresciuti in modo esponenziale».
Faccia uno sforzo: un allenatore che stima?
«Mourinho».
Un altro mostro di simpatia. Riproviamo.
«Mi piace Luis Enrique, ha le sue idee e tira dritto per la sua strada».
Però non ha fatto la gavetta, come Villas Boas che allena il Chelsea dopo un solo anno al Porto…
«Che fa? Mi fa litigare anche con Villas Boas? Sa cosa invidio a Villas Boas?»
Il monte ingaggi?
«Macché! Il clima che si respira nel calcio inglese. Io sono un combattente, ma in Italia a volte si esagera».
Lo stadio inglese, Stamford Bridge, lo rivedrà il 14 marzo. Emozionato?
«Sarà un’esperienza indimenticabile, ma che ci siamo meritati. Torniamo alla classifica comparata: in che fascia eravamo al sorteggio?».
Quarta fascia, l’ultima.
«Vede, vede. Allora abbiamo fatto un miracolo».
Il momento più importante di questo miracolo?
«Ne dico due: le partite contro il Manchester City. All’andata abbiamo capito che in Champions non eravamo degli intrusi. Al ritorno abbiamo fatto la partita quasi perfetta. Perché per me la partita perfetta non esiste».
Avevamo questo sospetto. Mi dica, allora, il giocatore (quasi) perfetto.
«Le dico quello dei miei che in pagella prende quasi sempre meno di quello che merita: Marek Hamsik. È un giovane vecchio, sa sempre quello
che deve fare. Sempre quello che serve alla squadra».
Come vive Napoli, città piena di contraddizioni, meravigliosa e terribile?
«La vivo poco, perché non esco. Vivo a Pozzuoli, vado sempre allo stesso ristorante dove so che potrò stare tranquillo. In città ci sarò stato
un paio di volte. Però la difendo quando la attaccano e quando attaccano i napoletani, perché non sopporto i luoghi comuni».
I rapporti con il presidente De Laurentiis sono sempre buoni? Sa, quest’estate…
«Buoni, buoni. Ma all’esterno c’è un gioco ad alzare sempre l’asticella, che non mi piace. Quando le cose vanno bene esce una voce, un sussurro,
una maldicenza».
Ha una moglie e un figlio che non vivono con lei a Napoli. È il prezzo che ha dovuto pagare al calcio e, soprattutto, al suo modo di vivere il calcio?
«Forse un giorno scriverò un libro. E, se lo farò, sarà per dire a mio figlio tante cose che non ho avuto modo di raccontargli in questi anni. La mia è una bella storia, sa?».
Si offende se le diciamo che, dal vivo, sembra più simpatico?
«No, semmai la ringrazio».
Fonte: Corriere della Sera
La Redazione
M.V.
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