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La sentenza sul caso Gianello può cambiare la mentalità del diritto sportivo italiano

la tesi della società è quella di puntare ad un’attenuazione, in via applicativa, della regola della responsabilità oggettiva

Il giovane e brillante avvocato Gianluca Spera torna con la sua rubrica “Diritto e Rovescio” alla vigilia della sentenza della Corte Federale sul caso Gianello che vede coinvolto il Napoli con due punti di penalizzazione e la squalifica per omessa denuncia di Cannavaro e Grava.

Nell’ultimo mese, quello trascorso dalla sentenza di primo grado, si è discusso ampiamente della strategia difensiva adottata dal Napoli innanzi alla Commissione disciplinare. Si sono formate due scuole di pensiero. La prima ha, sostanzialmente, condiviso le scelte operate dai legali della Società, censurando i rigidi meccanismi di funzionamento della giustizia sportiva. La seconda, pure appoggiata da autorevoli fautori, ha criticato il fatto che il club di De Laurentiis non abbia richiesto il patteggiamento. La tesi, non priva di pregio, è la seguente: dando per assodate le regole del rito sportivo, sarebbe stato meglio puntare a limitare i danni anziché immolarsi per un principio. Seguendo questo ragionamento, agli azzurri sarebbe stato comminato un solo punto di penalizzazione, il procedimento si sarebbe esaurito in solo grado, la squadra non avrebbe più subito distrazioni a causa degli strascichi giudiziari.

Tutto vero. Per inciso, va anche sottolineato che il Napoli avrebbe tentato un approccio di questo tipo, ma per ragioni di “economia processuale” sarebbe stato disposto a concordare ed accettare solo un’ammenda. Per cui la trattativa con il Procuratore federale si sarebbe interrotta sul nascere. Detto questo, appare evidente che la ratio dell’impostazione processuale vada oltre la mera difesa di un principio. Patteggiare avrebbe anche significato abbandonare Cannavaro e Grava al proprio destino. Un’opzione che non è mai stata presa in considerazione. Il Napoli, infatti, non si professa semplicemente innocente ma si ritiene eventualmente parte lesa dalle presunte condotte illecite di Gianello.

Una tesi che sarà ribadita con forza anche innanzi alla Corte di giustizia federale. La novità, rispetto al giudizio di primo grado, sarà quella di soffermarsi sulla richiesta di un’interpretazione più equa delle norme, sul rifiuto dell’equiparazione, più che discutibile, tra illecito tentato e illecito consumato. Si punterà a far emergere l’evidenza oggettiva dei fatti. La combine non si è mai realizzata, forse è stata solo pensata dal Gianello, ma non ha trovato nessun tipo di attuazione pratica nemmeno nella predisposizione dei mezzi fraudolenti per dar corso al fatto illecito. L’obiettivo del Napoli è molto ambizioso. Si mira ad ottenere un alleggerimento della rigida impostazione che spesso accompagna il funzionamento degli organi di giustizia sportiva. Si insisterà nel tentativo di spezzare quel meccanismo automatico che, in presenza di un comportamento illecito di un tesserato, fa scattare la tagliola della responsabilità oggettiva a cui è praticamente impossibile sottrarsi.

Ecco perché la tesi della società è quella di puntare ad un’attenuazione, in via applicativa, della regola della responsabilità oggettiva. Un orientamento che si sta facendo lentamente breccia nella più recente giurisprudenza sportiva. Sulle possibilità di riuscita di questa strategia, sembra azzardato se non impossibile fare ipotesi o previsioni. E’ certo che il caso del Napoli è sostanzialmente diverso da quello che ha interessato altre società. Per esempio, Torino e Sampdoria hanno evitato sanzioni più dure, patteggiando un punto. Il Siena e l’Atalanta, per fatti più gravi, hanno preferito evitare conseguenze più pesanti e hanno concordato la pena con la procura federale. Questi casi precedenti non possono agevolare in alcun modo la difesa del Napoli, trattandosi di situazione del tutto diverse nel loro svolgimento pratico.

Probabilmente, in questa vicenda, potrebbe risultare decisiva soprattutto una derubricazione del fatto ascritto a Gianello. Se i giudici dovessero far rientrare il suo comportamento nell’ambito della semplice slealtà sportiva, accantonando l’accusa di illecito,  come richiesto dai legali del calciatore veronese, per il Napoli la sanzione prevista sarebbe l’ammenda e la penalizzazione sarebbe cancellata. Una siffatta decisione favorirebbe anche Cannavaro e Grava, i quali, in ogni caso, continuano a negare di aver ricevuto l’offerta illecita dal loro compagno di squadra.

Resta solo da interrogarsi sulla opportunità di celebrare i processi sportivi durante lo svolgimento dei campionati. In effetti, anche in questo caso il congegno appare piuttosto consolidato. Una volta terminate le indagini preliminari in sede penale e ricevuti gli incartamenti, la giustizia sportiva si attiva per iniziare i procedimenti e far scattare i deferimenti. Probabilmente anche questa prassi andrebbe rivista. Ma non si può negare che l’applicazione è generale. Come dimostra anche il caso della Lazio e del suo capitano Mauri per i quali sarebbero pronti i deferimenti.

In conclusione, le tesi difensive articolate dalla società azzurra appaiono piuttosto condivisibili, l’impianto generale appare coerente con la linea dettata dal Presidente De Laurentiis. Il Napoli si è sempre dichiarato estraneo ai fatti. Preferisce rischiare un punto in più di penalizzazione, con la convinzione di riuscire a modernizzare il modo stesso di intendere il diritto sportivo, i processi e le relative sanzioni. Il buon esito dell’impresa segnerebbe un cambio di mentalità epocale per il calcio italiano. La più grande vittoria possibile.

Avv. Gianluca Spera

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