He’s back: perché quando il gioco si fa duro, i talenti allo stato puro si rimettono a giocare d’interno e d’esterno, in contropiede e a pressione, tra le linee o in qualsiasi zona del campo in cui serva. Si scrive Pandev e però si rilegge top player: sette milioni di euro per averlo, per lasciargli l’eredità di Lavezzi, per consegnargli Insigne, per affiancarlo a Cavani e ad Hamsik e farne il terzo tenore d’un Napoli da applausi.
Pandev è tornato…
«E perché, secondo voi ero andato via?».
Vabbè, era un po’ defilato…
«Colpa di un infortunio che mi ha penalizzato, ma non mi sono mai tirato indietro. Mai. E quando è toccato al sottoscritto, ho fatto quello ciò sono riuscito a ottenere da me stesso. Io do la mia disponibilità a chiunque, all’Inter feci anche il terzino».
L’ultimo macedone, quello con la Roma, era il modello autentico.
«Ed è piaciuto anche a me, ma non solo per l’assist. Perché mi sentivo bene, perché mi sono venute le giocate giuste, perché abbiamo vinto».
Perché è stato Pandev, il top player.
«Io non mi definisco, ma sono contento di quello che sono riuscito ad ottenere, sia con la Roma che in assoluto».
Visto il fosforo, accertata qualche pausa, viene il sospetto: che uno come Pandev possa aver sciupato qualcosa della sua carriera.
«Ho vinto e ho colto soddisfazioni. E poi, se permette, ho una carriera ancora lunga, ho appena ventinove anni. Per la precisione: trenta a luglio. Faccio in tempo».
Dunque, sa cosa vuole da grande…
«A me piace vincere, come tanti altri. E qui mi è piaciuto ancora di più. Ci ho preso gusto con la Coppa Italia, ho provato sensazioni diverse, eppure ho ricevuto soddisfazioni anche con la Lazio e con l’Inter qualcosa m’è capitato di vincere».
Ha ancora fame, dunque?
«Molta fame. Perché qui si provano emozioni che poi riesce complicato descrivere. Ma siamo nel solco giusto, esistono le condizioni affinché ciò accada. Bisogna aver pazienza, lavorare, applicarsi ed aspettare….».
Sembra una dichiarazione di intenti.
«La Juventus è favorita e, come dice qualcuno, lo scudetto potrebbero perderlo soltanto loro. Sono in testa da sempre, quasi. Ma hanno mostrato domenica scorsa di poter perdere. Noi ne abbiamo sbagliate tante, loro potrebbero, perché la stagione adesso entra nel vivo, si fa intensa, richiede supplemenento di energia fisica e nervosa».
L’ottimismo della volontà.
«Noi siamo forti e ci dobbiamo credere. Io ci credo. Ma non è ancora cominciato il girone di ritorno, possono bastare un paio di partite, un pizzico di continuità in più per noi e un po’ in meno per gli altri. Magari un pochino di fortuna, quella che ci è mancata in certe domeniche».
Facciamo un giochino: firmerebbe, se le dicessero, vincerai l’Europa League e arriverai secondo in campionato?
«Assolutamente no. Perché sono convinto nella bontà del nostro organico, in quello che stiamo realizzando. E adesso stiamo anche fisicamente crescendo. E’ vero che l’Europa League mi manca e non mi dispiacerebbe affatto, ma perché negarsi altro?».
Un modo per dire che si potrebbe, volendo, anche giocare con Cavani prima punta, Pandev e Balotelli larghi e Hamsik in mezzo?
«4-2-3-1: si dice così, mi pare. Mario è favoloso, io mi limito a questo».
Il suo contratto scade nel 2015.
«Sono dodici anni che sono in questo Paese e una cosa posso dire con certezza: il Napoli sarà la mia ultima squadra italiana. Poi non so cosa accadrà, ma a casa ne ho già parlato: non potrò avere un’altra maglia dopo questa».
Domani c’è il Palermo e con Gasperini, in quel breve periodo interista, non fu amore a prima vista.
«Rimasi pochissimo. Qualcosa cominciò a cambiare nell’Inter proprio in quel periodo ed io ebbi la manifestazione di stima del Napoli che mi convinse a cambiare. Non fu un approccio agevolissimo, emersero problemi di compatibilità tattica e non giudico le scelte: però penso di aver fatto meglio di Gasperini, all’Inter».
Un’occhiata alla compagnia: alle spalle della Vecchia Signora c’è ressa.
«Lazio, Inter, Roma, Milan e Fiorentina: ognuna di queste ha qualcosa. Brava la Lazio, con Petkovic: lì ho lasciato molti amici, Ledesma e Radu su tutti. Sarà una battaglia estenuante. Però penso che il Napoli abbia una sua solidità e deve essere convinto in se stesso».
A proposito, con Mourinho ha sempre modo di sentirsi?
«Ci capita qualche volta. Mi è dispiaciuto non sia stato premiato come il miglior allenatore in circolazione, perché lo è davvero».
Siamo un popolo di razzisti, noi italiani?
«Io ci sto da una vita e devo dire che la colpa è sempre della solita minoranza. Non è razzista uno stadio in cui pochi imbecilli fischiano o fanno buuu. Però è triste che ancora accadano certi episodi».
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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