Con tutti i principali campionati europei terminati e il mondiale brasiliano che ancora deve invadere con i suoi i ritmi le case degli italiani, quando ci si aspetta un po’ di pausa tra le notizie si deve rincorrere comunque la voce di radiomercato, David Luiz al PSG per 50 milioni, tanta roba, forse troppa, distante anni luce ormai dagli standard della nostra serie A. Poi la notizia sull’abrogazione delle comproprietà, importante, tanto, forse più per i tecnici e i professionisti. Alla gente, quella del bar la mattina, o dell’aperitivo, interessa relativamente, vogliono sapere chi gioca e chi arriva, se in prestito, a metà o per tre quarti interessa poco, tanto son soldi degli altri.
Cambiando frequenza poi si ascolta una notizia a primo impatto di totale apatia, si discute sui Fondi di Investimento nel Calcio, parole troppo difficili forse, non c’è nessun nome noto, sarà la solita notizia per riempire le pagine vuote di fine maggio, in realtà non è così se uno pensa che è anche merito di questi fondi di investimento che l’Atletico Madrid ha vinto la Liga sfiorando poi una storica doppietta in Champions negata da un colpo di testa dell’uomo del destino Real, Sergio Ramos.
Ma facciamo ordine. Cosa sono i Fondi di Investimento? Sono Istituiti d’intermediazione finanziaria che raccolgono il denaro dei risparmiatori che affidano la gestione dei propri risparmi alle SGR (Società di Gestione del Risparmio), che hanno capacità giuridica, per investire i capitali sul mercato diversificando l’investimento e riducendo il rischio rispetto ad un acquisto diretto in azioni di una singola società o settore. La banca depositaria, inoltre, custodisce i titoli del fondo e ne tiene in cassa le disponibilità liquide. Paroloni a parte, possiamo immaginare il Fondo di Investimento come un Grande Salvadanaio gestito da una società di professionisti che raccoglie le risorse di piccoli e grandi risparmiatori.
La società poi ha il compito di sfruttare le sue competenze per reinvestire il capitale contenuto da questo “Grande Salvadanaio”; la decisione su cosa reinvestire dipende dall’obiettivo dell’investimento del fondo. I vantaggi ovviamente sono molteplici: poter unire le forze con altri risparmiatori per aver così a disposizione maggior capitale e poter così accedere ad investimenti preclusi al piccolo imprenditore e avere un rischio distribuito, non è tutto infatti nelle mani di una sola azienda.
E tutto questo, con il Calcio, cosa c’entra?
Mentre Spagna e Portogallo hanno già aperto da tempo alla soluzione dei Fondi di Investimento, in Inghilterra e in Italia è ancora vietato. La stessa Uefa ha più volte espresso pareri contrari ma negli ultimi giorni ci sono state delle aperture alla questione, soprattutto da parte della Fifa. Si sta parlando di quella che a tutti gli effetti poi rappresenterebbe una reale e definitiva rivoluzione del calcio contemporaneo, quasi più business che passione. I Fondi di Investimento sono gestiti da società esterne al mondo del Calcio (oppure costituite appositamente) e acquistano quote di proprietà dei cartellini dei calciatori, in altre parole è come se un tesserato divenisse una sorta di società per azioni e parte di queste azioni fossero gestite da questo gruppo detentore del fondo.
I fondi d’investimento nel calcio si sono sviluppati inizialmente in Sudamerica, soprattutto nel calcio brasiliano. I problemi che possono sorgere sono differenti: La società non gestirebbe totalmente il cartellino del calciatore, c’è un forte rischio d’illecito, si potrebbe andare incontro a delle valutazioni non reali, generando plusvalenze che andrebbero a ripianare i bilanci in maniera non regolare. C’è da dire però che i Fondi di Investimento, che piaccia o no, sono una realtà, solo in Europa più di 1100 calciatori hanno cartellini che appartengono a società esterne al mondo del calcio, ovvero il 5,7% del valore globale del Mercato Europeo. Atlètico Madrid e Porto sono due tra i club più importanti che sfruttano i fondi di investimento, finanziandosi con la vendita di quote dei loro calciatori. Il più famoso fondo di investimento oggi nel calcio è il “Quality Sports Investment” che vede tra le sue fila il nome illustre del procuratore portoghese Jorge Mendes (Mourinho, Cristiano Ronaldo). La Quality Sports Investment rileva contratti (anche solo delle quote talvolta) di calciatori per offrirli al mercato internazionale e acquista azioni o finanzia club che hanno capacità nel formarli (Il Porto ad esempio, o quello che fa in qualche modo l’Udinese in Italia sfruttando però solo la capacità dei Pozzo) per rivenderli nelle leghe più importanti e dare così un profitto ai club, generando le cosiddette plusvalenze. E’ come se si scommettesse sui giovani e da questo punto di vista si tratta di un’ottima risorsa per affrontare la crisi del nostro calcio dando respiro alle società in difficoltà.
IL CASO ATLETICO MADRID
E’ innegabile il fascino dei “poveri” ma (ri)belli che prima o poi colpisce tutti i romantici di questo sport, tutti, anche solo per un istante, ci siamo sentiti parte del Muro Giallo e abbiamo provato a spingere il Borussia contro i colossi di Monaco di Baviera lo scorso anno e tutti, o quasi, abbiamo sognato una doppietta storica dei colchoneros dell’altra Madrid contro la megalopoli milionaria Blancos, Davide che sconfigge Golia, il lieto fine che sognano di scrivere tutti almeno una volta nella vita. Ma anche i migliori attori evitano le scene più pericolose per evitare di sporcarsi le mani affidandosi a delle controfigure e tutti abbiamo sperato che David Copperfield facesse davvero sparire la Statua della Libertà e ci speriamo tutte le volte che torniamo a quella sera di New York ma tutti hanno un trucco, anche se non si vede.
Torniamo a 3 anni fa, stagione 2010/11, l’Atlètico termina il suo campionato al settimo posto e fuori da ogni competizione UEFA, questo significa pochi introiti dovuti ai risultati, un pesante debito nei confronti della fiscalità spagnola (215 milioni di Euro) negli anni delle crepe nel sistema bancario Iberico. Molti dei club indebitati con le Banche per ripianare i bilanci ricorrevano alla Ley Concursal, un appiglio giuridico che permetteva alle aziende di saldare il 50% dei debiti subito e il resto nei successivi 5 anni. L’Atlètico non ricorre subito alla strada dei fondi di investimento, cosa che farà l’Espanyol cedendo ad un fondo britannico i diritti di 4 calciatori. L’Atlètico venderà in quella sessione di mercato De Gea (Al Manchester United per 20 Milioni di Euro), Aguero (Al City per 40 milioni), Elias (Allo Sporting Lisbona per 8,5 milioni) e Forlan (All’Inter per 5 milioni), tutto regolare se ci si fermasse a questo. Ma poi arrivò la notizia in prima pagina: “L’Atlètico Madrid acquista per 40 milioni Radamel Falcao dal Porto”, investendo inoltre 91 milioni complessivi sul mercato. Magia? Trucco! Di nome Doyen Sports Investment, una società che gestisce tutta l’operazione e che ne finanzia il 55% riducendo le spese del club a 18 milioni, così facendo i Colchoneros possono concentrarsi su altre operazioni di mercato, come per esempio l’acquisto di Arda Turan per 13,5 milioni.
Siamo nella stagione 2011/12, l’Atletico vince l’Europa League con goal decisivi proprio di Falcao e conclude l’annata con 655mila euro di utile e 23 milioni di euro di ricavi dalle competizioni UEFA, però il debito con il fisco spagnolo è ancora di 206 milioni che porterà ad una sospensione, poi risolta, dei premi UEFA frutto delle prime sanzioni del Fair Play Finanziario.
L’Atlètico ora alla voce “fatturato” fa: 100,9 milioni di Euro. Arriviamo alla stagione 2012/13, l’Atlètico Madrid si qualifica alla Champions League e vince la Coppa del Rey. La qualificazione alla massima competizione europea porterà nelle casse biancorosse dai 30 ai 40 milioni di euro in premi UEFA e il numero vede il suo compimento con la cessione di Falcao al Monaco (società in affari con il gruppo del fondo di Investimento che detiene parte del cartellino del nueve colombiano) per 60 milioni di Euro, di cui: 15 milioni verranno girati al giocatore e al fondo di investimento Doyen come previsto dall’accordo iniziale e gli altri 45 milioni verranno divisi tra il fondo e il club.
Il trucco è riuscito ed è un affare per tutti. L’Atlètico concluderà quella stagione con 2 milioni di Euro di Utile, i biancorossi però devono ancora oltre 200 milioni di Euro al Fisco più 63 milioni di emolumenti arretrati. Prima o poi il decreto sulla spalmatura dei debiti terminerà e l’Atlètico dovrà ripianare con i ricavi della Champions di questa stagione o con la costruzione di un nuovo stadio per far aumentare il fatturato, cosa che i Colchoneros stanno provvedendo a fare con il nuovo Estadio de la Peineta, un nuovo impianto coperto da 70mila posti, che sostituirà lo storico Vicente Calderon che verrà abbattuto entro il 2016, o con una nuova operazione in stile Falcao.
In conclusione, i Fondi di Investimento possono rappresentare certamente una risorsa importante per fronteggiare la crisi del nostro calcio e per permettere anche a quelle squadre che sono nella seconda fascia del nostro campionato, si pensi al Torino, al Parma, alla Lazio, al Verona o anche alle stesse milanesi, oggi in grande difficoltà, di poter competere a livelli importanti in Europa e di poter acquisire le prestazioni di calciatori importanti per accrescere il livello tecnico della Serie A e realizzare un prodotto di maggiore qualità per i tifosi e per gli acquirenti. Ci sono delle controversie e la Uefa lo sa benissimo, sfociare nell’illecito è rischioso quanto semplice, e i dubbi restano ma a meno che non si voglia riformare totalmente il calcio con un modello statunitense stile NBA o NHL che richiederebbe tempo e decisioni dolorose e impopolari (come la formazione di un campionato europeo, stimolante per le grandi piazze ma troppo esclusivo e inaccessibile per le province che fanno parte della storia del nostro calcio).
Pensare ai fondi di investimento può essere una valida alternativa, o magari il “trucco” per rendere qualcosa di ordinario straordinario, per lottare, non ad armi pari, perché resta impossibile con le regole attuali, contro i magnati del calcio mondiale ma almeno aggiungere frecce in faretra.
A cura di Andrea Cardone
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