«Un ragazzo bravo a 23 anni deve aver giocato una cinquantina di partite in Serie A. Un 16-17enne deve giocare con i più grandi in campionati competitivi, ma disputare due-tre gare l’anno in A. La filosofia che sta a monte è che il giovane deve giocare…».
È il pensiero logico e naturale dello storico allenatore dell’Auxerre, il francese Guy Roux. In linea teorica la pensano così anche la maggior parte dei suoi colleghi italiani ma, intanto, nella nostra Serie A di giovani provenienti dalla Primavera ne sbarcano sempre meno. Da un accuratissimo studio condotto dall’avvocato Alessandro Greco nell’ambito del Master Sport di Parma e San Marino (relatore Paolo Piani, direttore del Centro Tecnico Federale di Coverciano) emerge una serie di dati allarmanti. A cominciare da quei 1.215 calciatori che hanno partecipato al campionato nazionale Primavera, alias “Trofeo Giacinto Facchetti” stagione 2009-2010, i quali per il 58% sono già usciti dal professionismo. Filosofia del bicchiere mezzo vuoto, indurrebbe a pensare che oltre la metà di quei giovani tesserati siano caduti nella rete della “disoccupazione giovanile”.
L’altra metà, il mezzo pieno, indica che quelle potenziali promesse sono solo scivolate nei campionati dilettanti, alcuni hanno preferito cercare fortuna all’estero, altri «e sono tanti, – precisa l’avvocato Greco – sono attualmente senza squadra». Per un Alessio Romagnoli della Roma che, nella stagione in corso, ha debuttato e segnato (contro il Genoa) in A a 18 anni, c’è un 60% di under 20, pari a 562 giocatori della Primavera di quel campionato 2009-2010, che non sono più nell’orbita del professionismo. Dei nati nel 1989-’90 di quella stessa stagione, a questo punto delle “grandi illusioni”, in 118, «su un totale di 195», sono usciti dal calcio che conta semplicemente per «ragioni anagrafiche». Insigne, El Shaarawy e Immobile, che si sono lanciati proprio in quell’annata, rappresentano dunque l’eccezione.
Poi, ci sono i più fortunati: i 200 calciatori (su 295) ex Primavera di A e B che sono finiti in prestito o in comproprietà in club di Lega Pro. «Passaggio che comporta un doppio guadagno per quest’ultime società – spiega Greco –. Nella maggioranza dei casi lo stipendio dei calciatori è a carico della squadra madre e l’utilizzo costante degli under 22 costituisce la conditio sine qua non per ottenere la corresponsione dei contributi federali. Però, il dato più inquietante della nostra ricerca è che più dell’80% dei 160 Primavera tesserati per club che nel frattempo sono falliti, attualmente, risultano svincolati o, al massimo, si sono accasati nei dilettanti. E tutto questo non fa che certificare, purtroppo, la pochezza della maggior parte dei settori giovanili, ma soprattutto che il campionato Primavera da noi non è agonisticamente formativo».
Da qui probabilmente l’esigenza di una riforma che dovrebbe portare al “trasloco” delle formazioni Primavera nel campionato di Lega Pro. «Un progetto più volte sbandierato, ma che vedo di difficile realizzazione per un problema, oserei dire, di ordine “politico” del nostro sistema calcistico – dice Greco –. Piuttosto sarebbe auspicabile un ritorno al passato, con un più fattibile Campionato riserve». Il torneo che dagli anni ’30 disputavano le formazioni delle riserve della Serie A, le quali erano iscritte al campionato di Prima divisione, ma senza fare classifica e in caso di vittoria finale non venivano promosse in B.
Questo format delle riserve è stato soppiantato dal torneo De Martino (fino al 1971) e successivamente da quello Primavera. Di fatto questo torneo esiste ancora in Spagna, dove il professionismo è circoscritto alla serie A e B: sotto ci sono i dilettanti che se la vedono con le “squadre satellite” dei club della Liga. Così, il Barcellona B (in cui giocano i ragazzi della pluripremiata “cantera”, in età compresa tra i 18 e i 26 anni) può retrocedere o essere promosso, ma non partecipare al medesimo campionato del Barça di Messi. «Il grande vantaggio del sistema spagnolo, un modello anche da questo punto di vista – dice Greco – è che un giocatore della squadra B può passare a quella A in qualsiasi momento della stagione e, nel caso in cui ha disputato almeno 10 partite nella categoria superiore, non potrà più scendere, da regolamento, in quella inferiore».
Da qui si spiega il perché l’82,05% dei nazionali spagnoli (32 su 39 convocati) sono transitati dalla Lega Pro, mentre quelli italiani sono solo il 37,7%. In Spagna il 25,9% dei componenti della rosa è “prodotto in casa” e l’Italia ancora una volta è il fanalino di coda europeo (dietro a Francia 21%, Inghilterra 17,5% e Germania 14,1%) con un misero 7,8%. «Quel che preoccupa ancora di più – conclude Greco – è il restringimento costante degli spazi per i ragazzi nati e cresciuti nei vivai italiani, perché, per ragioni solo economiche, dal 40% di Primavera stranieri tesserati nel 2009-2010, ora si è superato il tetto del 50% di presunti talenti pescati all’estero. Con numeri del genere, invertire la rotta per le nostre società rappresenta la vera impresa da compiere per il futuro».
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