Il calcio italiano è pieno di problemi, poco competitivo in Europa, rovinato da lotte intestine, incapace di affrontare storiche difficoltà compreso il macabro razzismo che si respira a certe latitudini, come ricordato dal becero striscione apparso a Verona o dagli ululati per Koulibaly. C’è, però, un dato a cui aggrapparsi: dopo dieci anni finalmente si ha un campionato equilibrato, con scenari aperti per tutti gli obiettivi e soprattutto per il primato che addirittura è teoricamente un affare per quattro squadre.
Può essere un finale di campionato bellissimo, emozionante, anche prezioso per esportare la visione del nostro calcio all’estero. Nessun paese dovrebbe avere uno scenario del genere: il Paris Saint Germain conta le ore per festeggiare, il Real Madrid è in fuga, il Borussia Dortmund, vincendo il recupero con il Mainz, può andare a -4 dal Bayern Monaco e in Inghilterra c’è il duello Manchester City-Liverpool con Klopp che insegue a tre punti di distacco. L’altalena di emozioni che c’è in Italia, con le situazioni che cambiano costantemente, non trova altre corrispondenze. Va rispettata, coltivata, anche perché è vero che si è abbassato il livello del vertice (vedi Inter senza Lukaku, Hakimi e Conte) ma è cresciuta anche la base, con quanto espresso da Verona, Torino, Fiorentina e anche realtà come Empoli e Spezia.
Bisogna accendere il Var, che ancora è un mare di contraddizioni soprattutto per gli episodi in area di rigore. È sempre la stessa maledetta zona grigia del chiaro ed evidente errore perché non si vuole fare il passo in avanti nell’innovazione con “challenge” agli allenatori, comunicazione pubblica tra arbitro e Var e ideazione di metodi affinchè i direttori di gara spieghino le loro decisioni.
È giusto che la situazione dubbia venga decisa dall’arbitro di campo ma, quando ci sono episodi evidenti il Var deve intervenire. Non è possibile assistere ogni settimana a situazioni di questo tipo: il fallo di mano di Luiz Felipe in Lazio-Napoli, l’intervento di Tomori su Osimhen e il contatto Ranocchia-Belotti.
Non è possibile che in ogni finale di campionato avvengano errori clamorosi. Abbiamo ancora negli occhi le immagini della stagione dei 91 punti: il fallo di mano di Bernardeschi a Cagliari, l’entrata da arti marziali di Benatia su Lucas Leiva in Lazio-Juventus, l’intervento di Pjanic in Inter-Juventus con il clamoroso secondo giallo non dato. Molti poi dimenticano lo scorso campionato: il gol incredibilmente annullato ad Osimhen in Napoli-Cagliari, i disastri di Calvarese in Juventus-Inter (dal gol tolto a Lautaro Martinez fino all’inesistente rigore concesso a Cuadrado), lo sfogo di Vigorito dopo Benevento-Cagliari.
Non è possibile rivedere lo stesso film, l’arbitro di campo può sbagliare, il Var serve proprio ad intervenire per ciò che il direttore di gara non vede in maniera corretta. Non l’ha fatto né Valeri con Orsato in Napoli-Milan né Massa con Guida in Torino-Inter ed è un problema serio. Il Napoli si faccia sentire perché giocare per lo scudetto non è una cosa usuale e la sensazione di poter essere competitivo va onorata in tutti gli aspetti, anche fuori dal campo.
Non è un problema ammettere che forse il secondo giallo per Ceccherini è stato eccessivo, sarebbe stato più giusto fischiare solo il fallo, probabilmente ha inciso l’accumulo di situazioni in cui era stato graziato e la costruzione di una ripartenza con Osimhen che raccoglie il pallone a 50 metri dalla porta. Gli episodi, però, si pesano e il rigore non dato al Torino è inaccettabile.
A Verona una vittoria tutta di Spalletti
La mano dell’allenatore a Napoli si è vista sempre, poi i risultati sono determinati da tante variabili. Il dato di partenza è che il Napoli ha la strada spianata per il suo obiettivo: il ritorno in Champions League con dodici punti di vantaggio su Roma e Atalanta (che ha una partita in meno, se la Lazio stasera vince è quinta a -11 dal Napoli).
A Verona Spalletti, però, ha assunto i panni del leader, cambiando l’atmosfera dopo la sconfitta contro il Milan. È intervenuto sotto tutti gli aspetti: scelte di uomini, tattica e preparazione mentale della partita.
Non è facile mettere in panchina Zielinski e Insigne, l’ha fatto e ha preparato la sfida sull’avversario correggendo ciò che non andava. Ha scelto il 4-3-3, valorizzato il lavoro di Anguissa che con la sua fisicità ha protetto con le coperture preventive la catena di destra, il lato forte scelto per far male al Verona. Un Napoli più verticale, che, infatti, ha completato il 51% del possesso palla nella metà campo avversaria (a differenza del 66% nella propria contro il Milan). Gli azzurri hanno riempito meglio l’area avversaria, non solo con Osimhen ma anche con Lozano che sul secondo gol è dentro l’area ad occupare le marcature degli avversari.
A livello mentale, anche con le scelte, Spalletti ha ottenuto ciò che ha chiesto in conferenza stampa: l’applicazione da gara decisiva, l’attitudine a calarsi nella “partita sporca” e le vittorie nei duelli.
Peccato solo per l’infortunio di Petagna, proprio ieri si è visto quanto conta l’abbondanza, la facoltà di scelta, gestendo la rosa con gli inserimenti dalla panchina.
Ciro Troise
Condividi:
- Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per condividere su Ok Notizie (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per inviare un link a un amico via e-mail (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pocket (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra)
- Altro