Se fai un giro per Roma e cominci a chiedere di Anco Marzio o di Numa Pompilio è altamente probabile che almeno un romano su due non sappia nemmeno di chi tu stia parlando. Prova invece a chiedere di Francesco Totti. “Er capetano!” ti risponderanno quasi tutti con quel marcato accento che li contraddistingue. A Roma è così, Totti è Totti. E’ calcio, e non solo il calcio. A volte bastano 5′ minuti, la tua squadra sotto di un gol e due palloni toccati. Ed ecco che puoi far capire alla gente che, al di là dei colori, delle fedi, dei cori e della bandiere, questo non è “solo uno sport”
Totti è un patrimonio della Roma, Totti è la Roma. Totti è un patrimonio del calcio, Totti è il calcio. Quell’eroe dei poemi epici che quando vede che il suo popolo è in difficoltà si getta nella mischia. Entra e in 5′ la risolve. E poi va via a testa bassa, senza chiedere nulla, conscio di aver fatto il suo dovere. Perchè la ricompensa più grande, per uno come lui, è quella di donare gioia al suo popolo. Anzi, di donare gioia a tutti i popoli, ai popoli del calcio. Perchè ieri un tifoso del Torino può esserci rimasto male per la rimonta, o uno del Napoli per la mancata possibilità di allungare sulla Roma. Ma sappiamo bene, napoletani, torinisti, juventini o interisti, che quello che oggi è dispiacere per il singolo domani sarà un sorriso regalato al popolo del calcio.
Perchè per alcuni vicino alla parola professione non andrebbe scritto “attaccante”, “fantasista”, “calciatore”, ma semplicemente “artista”. E l’artista lo puoi odiare, ma non puoi rimanere indifferente dinanzi ad un suo capolavoro. Il resto sono solo chiacchiere di chi si ostina a non capire che nel calcio non esiste mai il “uno vale uno”, ma spesso esiste il “uno vale una squadra”. Bandiere, simboli che hanno legato il loro nome a dei colori e ad una maglia. Sempre la stessa. Cambiano gli allenatori, i compagni, certe volte anche i presidenti. Ma loro sono lì. Bandiere che non vorremmo mai fossero ammainate. Sempre più una rarità nella deriva commerciale del nostro calcio. Totti è uno degli ultimi esemplari di bandiera del calcio italiano e del calcio in generale. Uno degli ultimi di quella generazione per cui le cifre sui contratti (ed anche i trofei in bacheca) erano secondari. Zanetti all’Inter, Maldini al Milan, Del Piero alla Juve, ma anche Gerrard al Liverpool o Raul al Real Madrid. Una generazione al tramonto. Una schiera di bandiere che nostalgicamente si stanno ammainando una dopo l’altra. In un calcio che sembra lasciare sempre meno spazio al romanticismo, sempre più preso da altre logiche. “Artisti” che sembrano quasi diventare un peso, un lusso non necessario, un qualcosa da rispettare sterilmente in nome di logiche pragmatiche. Logiche che il cuore di un tifoso non vuole e non può capire. E se le lacrime del tifoso in tribuna di ieri sono giallorosse è solo un caso. Perchè quando l’arte calcistica muore a morire è un pezzo di ogni tifoso.
Una razza in estinzione, sia quella degli artisti che quella delle bandiere. I primi ritenuti orpelli superflui, i secondi considerati a volte troppo ingombranti, spesso un pericolo in grado di rallentare i piani di chi vuole trasformare il nome, i colori e la storia di un club in un semplice brand commerciale. Chi salverà la categoria? Chi prenderà il posto dei Totti, dei Del Piero, dei Maldini? Forse Florenzi a Roma. Oppure qualche chilometro più giù Lorenzo Insigne in una Napoli che, da troppo tempo, aspetta il “suo Totti”. Firenze con Bernardeschi, l’altra sponda di Roma, quella laziale, con Cataldi o la Milano rossonero con il baby Donnarumma. Chi sa se dureranno, o se tra qualche anno cederanno alla lusinghe straniere. Quelle a cui Totti disse “no”, ma che oggi più difficilmente potrebbero ricevere una risposta simile.
Totti molto probabilmente a fine anno dirà addio alla sua Roma. “Troppo vecchio”, “corre poco”, “non è adatto al calcio moderno”. Lui in silenzio obbedirà, come Del Piero prima di lui, come Maldini ancor prima. Aspettando quei 5′ in silenzio. Il momento in cui il suo popolo lo chiama. E magari entrare un’altra volta, un’ultima volta ancora. Fare ciò che sa fare meglio: regalare una lacrima di gioia al suo popolo. E poi uscire di nuovo in silenzio, sapendo che la bandiera alla fine è solo un pezzo di stoffa che può invecchiare. Ciò che non invecchia è il significato che una persona comune, sugli spalti di uno stadio il mercoledì sera, può conferirle…
A cura di Giancarlo Di Stadio
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