Deir el-Zor è una cittadina di circa 200mila abitanti nella parte orientale della Siria la cui esistenza, fino a qualche anno fa, era sconosciuta alla maggior parte della popolazione mondiale. Una classica cittadina mediorientale, una come tante sorta in mezzo al deserto, che suo malgrado nei giorni scorsi è finita nei libri di storia. Nel 2014 infatti Deir el-Zor è stata teatro di una grande offensiva da parte dell’ISIS, la nota organizzazione terroristica di matrice islamica, che era riuscita a conquistare tutta la provincia e ad isolare la piccola guarnigione presente in città. Deir el-Zor in questi tre anni ha subito un lunghissimo assedio. Assedio nel quale le preponderanti forze dell’ISIS non sono mai riuscite ad avere la meglio sui difensori. Una resistenza eroica, che ha avuto termine nei giorni scorsi quando l’esercito siriano assieme ai russi è riuscito finalmente a rompere l’assedio e a cacciare l’ISIS dai dintorni di Deir el-Zor.
Contemporaneamente alla fine dell’assedio, qualche chilometro più lontano, per la precisione a Teheran in Iran, un calciatore nato proprio a Deir el-Zor, siglava al 93’ un gol che potrebbe essere storico. Il suo nome è Omar Al Soma e la rete è quella del 2-2 nel match di qualificazione ai Mondiali tra Siria ed Iran. Un gol che potrebbe portare la nazionale siriana ad un risultato insperato: la qualificazione a Russia 2018. Il gol allo scadere infatti consente ai siriani di agguantare l’ultimo posto utile nel girone e di accedere agli spareggi contro l’Australia. In palio un posto ai Mondiali.
Per capire l’importanza che potrebbe avere quel gol per la Siria non basta citare il fatto che la nazionale araba non ha mai disputato una fase finale di un Mondiale. La portata storica di questa possibile qualificazione può essere spiegata solo conoscendo cosa è attualmente la Siria. Un paese in preda dal 2011 ad una sanguinosa guerra civile. Da un lato l’esercito fedele al presidente Assad, dall’altro la variegata galassia dei ribelli, una parola dietro la quale si nasconda una miriade di eserciti, movimenti, partiti, in lotta contro Assad e spesso anche tra di loro. Si va dai curdi del Rojava fino alla nota organizzazione terroristica dell’ISIS, passando per i filoamericani del Free Syrian Army e per le costole siriane di Al Qaeda. In mezzo a tutto ciò, a complicare ancora di più le cose, gli interessi di americani, russi, europei, israeliani, sauditi, turchi e iraniani, i quali si trovano ad appoggiare una o più parti (a volte anche contemporaneamente fazioni che si combattono tra di loro), facendo diventare la Siria lo scacchiare nel quale le potenze mondiali “giocano” a fare la guerra per procura.
Una situazione in cui il movimento calcistico siriano è logicamente crollato. Con un campionato nazionale che si disputa a fatica (recentemente qualche partita è stata giocata anche nella città di Aleppo appena riconquistata dai lealisti) e con buona parte dei giocatori selezionabili coinvolti, più o meno direttamente, nel conflitto (parecchi di loro sono anche morti), la nazionale siriana ha seriamente rischiato di scomparire. Subito dopo l’inizio della guerra i ribelli filo-americani cercarono anche di creare una nazionale “parallela”, progetto che però è subito naufragato di fronte al diktat della FIFA, la quale ha continuato a riconoscere la vecchia nazionale come l’unica rappresentante calcistica siriana.
Una nazionale che ha dovuto fare i conti ben presto con la delicatissima situazione interna. L’impraticabilità dei vari stadi, con le città siriane sconvolte dai combattimenti, ha costretto la nazionale siriana a diventare una nazionale “senza stato”, girovagando per il mondo alla disperata ricerca di ospitalità. Molte nazioni l’hanno negata, adducendo come scusa il fatto che la nazionale siriana fosse legata a doppio filo col regime di Assad. Così la Siria è stata costretta a spostarsi di 7mila chilometri, giocando le proprie partite casalinghe a Malacca in Malesia, potendosi pagare le trasferte solo grazie ai contributi della Federazione Calcistica Asiatica. Una situazione che rende ancora più straordinaria la (quasi)impresa dei siriani.
Tantissime le storie che si celano dietro questa Nazionale. Già abbiamo citato l’eroe di Teheran, Omar Al Soma, attaccante ventottenne, due volte capocannoniere del campionato saudita, che, in uno strano gioco del destino, è nato proprio a Deir el-Zor, la città simbolo della resistenza dei siriani contro il terrorismo dell’ISIS. Oppure anche quella di Firas Al-Khatib, capitano e miglior marcatore ancora in attività dei siriani. Ad inizio guerra lasciò la nazionale in segno di protesta contro il regime di Assad, salvo poi tornare sui suoi passi per aiutare i suoi compagni a centrare il sogno mondiale. Perché prima di un governo o di una milizia di ribelli c’è da giocare per il popolo siriano. E una storica qualificazione mondiale, anche se non significherà nulla per un paese martoriato dalla guerra, potrebbe comunque regalare ad un popolo finito suo malgrado “al centro dell’attenzione” un piccolo, flebile, ma significativo momento di gioia.
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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