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Sarri-Napoli, il ritorno? La storia di 5 “minestre riscaldate” che non sono andate a buon fine

Lippi, Zeman, Vinicio... quando tornare dove si è fatto bene non è una buona idea

Parliamo con grande franchezza: la vicenda Sarri-Napoli può essere benissimo riassunta in questo modo. Immaginate di credere di aver trovato la ragazza della vostra vita, l’unica che vi fa provare determinate sensazioni, l’unica a cui direste “ti amo”. Immaginate di averla idealizzata a tal punto da credere che non ci sarà nessuna come lei. Non che lei non ci abbia messo del suo per farvelo credere.

Poi immaginate che, tutto d’un tratto, lei vi lasci senza neanche tante spiegazioni e, poco dopo, ve la ritrovate fidanzata con il fighettino che, quando eravate insieme, diceva tanto di odiare. In quel momento prendete coscienza che quella fantastica ragazza, che tanto avevate creduto speciale, si è rivelata in fondo una fotocopia sbiadita, una come le altre. Una che, di fronte ad una sistemazione migliore, non esita a buttare all’aria un qualcosa a cui, in fin del conti, credevate solo voi.

Poi, chiamatelo karma o semplici controindicazioni dell’utilitarismo relazionale tanto di moda oggi, il fighettino “trova di meglio” e la lascia. Ecco che il vostro telefono si illumina e arriva il messaggino. Che fare? Non c’è una risposta giusta e una sbagliata. C’è chi ci ricasca, chi spera, pur consapevole che non sarà come la prima volta, che ci possano essere le basi per ripartire e ricreare quell’alchimia perduta e chi invece, fedele al pensiero che le minestre riscaldate sono sempre insipide, la cancella dalla rubrica, dai social e dalla vita.

Come detto non c’è una risposta giusta. E lo stesso vale anche nel calcio. Quante volte il giocatore o l’allenatore torna ed è un successo. Il figliol prodigo che riparte da dove aveva lasciato. E quante volte, invece, accade esattamente il contrario? Con il ricordo del “cosa è stato” e il rimpianto del “cosa sarebbe potuto essere” che inevitabilmente condizionano la parte due.

Di seguito cinque “minestre riscaldate” che non hanno funzionato.

Marcello Lippi – Italia, 2010

Popopoppopopo, campioni del mondo! Materazzi, Zidane e bla bla bla. Il 2006 è stato l’apice del calcio italiano prima del disastro. L’ultimo colpo di coda del “campionato più bello del mondo”, il coronamento meritato di un gruppo di giocatori eccezionali che avrebbe meritato, dal ‘94 al ‘04, miglior fortuna internazionale.

Ma è stato appunto anche l’inizio del declino. Il castello di carte che crollava sotto i colpi di Calciopoli e delle SIM svizzere. Il colpo definitivo ad un mondo che, con i fallimenti di Parma e Fiorentina e i salvataggi in extremis di Roma e Lazio, aveva già mostrato che la “bolla” era scoppiata.

Dopo la (non così tanto col senno di poi) infelice parentesi Donadoni, la FIGC pensa che per il Mondiale sudafricano basti richiamare l’eroe di Berlino Marcello Lippi per disputare una buona manifestazione irridata. Niente di più sbagliato.

L’Italia del 2010 è una squadra vecchia, stanca, palesemente a fine ciclo. Lippi si ostina a voler puntare sul suo caro blocco-Juve. Ma la stessa Juve, dopo Calciopoli, nel 2010 non è più la stessa. Giocatori sul viale del tramonto, scelte tattiche incomprensibili, convocazioni che suscitano non poche polemiche.

Il bilancio del Lippi-bis è una tragedia. In un girone da passare in carrozza, l’Italia riesce nell’impresa di farsi eliminare finendo addirittura ultima nel girone. Passi il pari contro il Paraguay, ma a gridare vendetta è l’1-1 contro la Nuova Zelanda (che allora non aveva nemmeno un campionato professionistico) e la sconfitta contro la Slovacchia.

Fabio Capello – Milan, 1998

Dopo aver praticamente vinto tutto in rossonero Fabio Capello decide di tentare l’avventura al Real Madrid. Nonostante la vittoria della Liga i rapporti con Sainz non sono idilliaci e una telefonata di Berlusconi convince il tecnico a tornare a Milanello.

Mai scelta fu più sbagliata.

Capello arriva come il salvatore della patria, l’uomo in grado di riportare immediatamente in alto i rossoneri dopo un anno di mediocrità. I risultati però non sorridono. I rossoneri arrancano in campionato e finiscono non solo lontani dalla vetta, ma addirittura lontani dalle coppe europee.

Meglio va in Coppa Italia. Capello decide di puntare tutto sulla coppa nazionale per salvare la stagione e ottenere almeno un trofeo. Il cammino è di livello, lo scalpo dei cugini interisti è portato a casa, ma in finale contro la Lazio il Milan si fa rimontare il doppio vantaggio nel giro di 10’.

Risultato? Coppa Italia alla Lazio e seconda avventura di Capello che termina con molta infamia e poca lode.

Roberto Mancini – Inter 2014-2016

E’ stato il tecnico che ha riportato lo Scudetto nella Milano nerazzurra dopo moltissimi anni. Ha aperto un ciclo vincente (che sarà poi concluso da Mourinho con la Champions) all’Inter come non si vedeva da decenni. E poi?

Poi ha avuto la pessima idea di tornare. Nel 2014 il Mancio viene scelto per riportare l’Inter in alto dopo la parentesi Mazzarri. Conclude il primo campionato in maniera anonima, ma le aspettative sono tutte per l’anno successivo. L’inizio di campionato è incoraggiante, ma poi, verso gennaio, qualcosa si rompe. L’Inter non macina né gioco e né risultati e lentamente si allontana dalle posizioni di vertice.

Finirà al 4°posto (allora non ancora una posizione che garantisce la qualificazione Champions) e lascerà la panchina a de Boer durante un’estate abbastanza tormentata per i tifosi nerazzurri.

Zdenek Zeman – Foggia 2010/11 e Roma 2012/13

Tutti conoscono Zemanlandia, ma pochi sanno che il tecnico boemo non era alla prima esperienza a Foggia in quel 1989 che avrebbe cambiato per sempre la storia sportiva della cittadina pugliese. Zeman infatti aveva già allenato i Diavoli nella stagione 1986/87.

In quell’occasione il Foggia non andò oltre un anonimo campionato, rischiando addirittura di restare impelagata nelle zone basse della classifica. Dopo un clamoroso 5-0 contro la Cavese il patron Casillo decise per l’esonero di Zeman.

Qualche anno dopo, reduce dalla negativa esperienza di Parma e da quella positiva di Messina (dove lanciò un certo Totò Schillaci), Zeman tornò a sedere sulla panchina del Foggia.

Il resto, come si suol dire, è storia…

Una storia che sarebbe potuta restare stupenda se non fosse che Zeman decise di tornare nel 2010. La squadra, nella quale giocavano dei giovanissimi Insigne e Sau, espresse come al solito il suo gioco d’attacco spettacolare, ma la difesa fu un totale colabrodo. A fine stagione, nonostante le grandi aspettative, il Foggia non arrivò a centrare la promozione.

Zeman salutò tutti e volò in direzione Pescara portandosi però Lorenzo Insigne. In Abruzzo arriverà l’esplosione per l’attuale capitano del Napoli. Si può quindi dire che, almeno indirettamente, la terza esperienza foggiana di Zeman non è stata un fiasco totale.

Errare è umano, perseverare è… da Zeman.

Non contento, dopo il miracolo di Pescara, Zeman prova una nuova minestra riscaldata. Stavolta a Roma. In giallorosso aveva lasciato un bellissimo ricordo, rovinato dalla sua seconda esperienza. Qui trova un ambiente poco propenso al sacrificio e, in pochi mesi, si aliena totalmente l’appoggio dei senatori.

Mettici alcuni passaggi a vuoto e molta sfortuna la seconda avventura capitolina di Zeman naufraga tra la solita difesa colabrodo e un’attacco stranamente poco incisivo. Dopo l’ennesima prova sottotono arriva l’esonero per il tecnico boemo.

Luis Vinicio – Napoli 1978

Il primo Napoli di Vinicio è stato forse quello che, prima di Maradona, ha segnato di più l’immaginario collettivo dei tifosi napoletani. Il calcio totale applicato in un paese catenacciaro come l’Italia degli anni ‘70.

Vinicio è stato un anticipatore dei tempi, un precursore del calcio. Forse troppo. Durante la sua prima esperienza napoletana gli azzurri sfiorano due volte lo Scudetto, nonostante il loro gioco fosse considerato di gran lunga il migliore d’Italia.

Poi una parentesi alla Lazio e nel ‘78 il ritorno a Napoli in sostituzione di Gianni Di Marzio. La prima stagione non è male. Gli azzurri centrano un decente 6° posto e arrivano anche in semifinale di Coppa Italia.

Il gioco però non è quello di qualche anno prima. E le avvisaglie di un prossimo fallimento sono dietro l’angolo. La stagione successiva è infatti un calvario. Il gioco non c’è e nemmeno i risultati. L’attacco, orfano di Savoldi, segna poco (il miglior marcatore sarà Damiani con 4 gol!). Il Napoli arranca e l’epilogo è scritto: esonero.

Vinicio viene messo alla porta con una squadra in palese difficoltà a tre giornate dalla fine. Sormani riesce a traghettare gli azzurri al 12° posto (poi, dopo il totonero, diventato 10°), concludendo un campionato decisamente da dimenticare.

A cura di Giancarlo Di Stadio

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