L’istinto suggerirebbe di tirar fuori Totò quando diceva “Ma mi faccia il piacere” al cospetto di chi approfitta del fallo di mano di Mertens a Crotone per gridare “Ma di che vogliamo parlare?” come se si rappresentasse un forum dei tifosi e non un quotidiano nazionale. Stavolta nella provocazione non ci vogliamo entrare, andiamo oltre il frustrante dibattito dell’eterno scontro con la Juventus. “Le immagini parlano da sole”, hanno ribadito da Cagliari e gli errori di sabato sera sono arrivati pochi giorni il disastro del derby di Coppa Italia targato Doveri che ha rimediato anche la sospensione. Le dichiarazioni di Buffon e Khedira, la rabbia di Allegri dopo la sfida di Bergamo rappresentano il fastidio che la Juventus ha sempre mostrato nei confronti del Var, nonostante poi gli “spostamenti d’opinione” che da abili comunicatori vanno sempre verso la stessa tesi: “Ve l’abbiamo detto prima, il Var deve intervenire solo per errori macroscopici”. E che a serve impostare una rivoluzione di questo tipo solo per gli errori macroscopici? Chi stabilisce la rilevanza degli errori, l’arbitro in campo, gli assistenti al Var o Massimiliano Allegri? L’evoluzione tecnologica non si può arrestare, ormai il calcio è dentro questo processo, stasera il Var debutta in Inghilterra con Brighton-Crystal Palace di Fa Cup ed è già pronta l’adesione della Liga per la prossima stagione. I “reazionari” del calcio romantico, tanto attenti all’autorevolezza dell’arbitro sul terreno di gioco, sono costretti ad arrendersi e allora cercano di limitare la portata di questo strumento. La rivoluzione non sarà mai completa fino a quando non sarà semplificato il regolamento e modificato il protocollo.
La maggioranza degli episodi discussi negli ultimi anni riguardano i falli di mano, da quello di De Sciglio in Juventus-Milan della scorsa stagione alle situazioni in cui sono stati protagonisti Immobile, Torreira, Mertens e Bernardeschi nel campionato in corso. La regola in tal senso va semplificata, non è possibile chiedere all’arbitro di considerare tanti parametri per giudicare una situazione di gioco in fasi convulse di partite importanti. Il Var ha corretto tantissimi errori gravi ma il suo protocollo va rivisto perché non affronta il problema della discrezionalità degli arbitri. C’è un errore concettuale, si vuole proteggere il potere del direttore di gara come se fossimo in una trattativa contrattuale tra parti sociali. “L’arbitro non va delegittimato”, gridano i reazionari del calcio romantico, quelli a tutela delle emozioni umane rovinate dal progresso. Il fine ultimo è la regolarità dell’incontro, l’impegno per ridurre al minimo gli errori, non la tutela di rapporti di forza che nel calcio sembrano leggi non modificabili. Tutelare gli arbitri significa sottrarli dall’idea di dover essere gli unici giudici della contesa. La conduzione della partita va ribaltata, gli addetti al Var devono poter imporre al direttore di gara la “on field review” al cospetto di episodi meritevoli di essere esaminati come quelli che hanno riguardato Mertens e Bernardeschi. L’arbitro non è più l’uomo solo al comando ma il leader di una squadra, il suo rappresentante magari anche nelle interviste del post-partita, uno strumento di crescita per l’intero movimento. L’eventuale sospensione di Calvarese è la classica “risposta di pancia” che non affronta il problema alle sue radici. Se non saranno modificati il regolamento e il protocollo, ci saranno altri Doveri, Calvarese, Banti che non riusciranno a liberarsi della sudditanza psicologica a cui sono abituati, nonostante il supporto della tecnologia. Era impensabile che al primo anno d’applicazione il Var potesse abbattere abitudini storiche ma sarebbe allo stesso tempo un pessimo messaggio tornare indietro. Il calcio italiano, mai restaurato dopo Calciopoli e fuori dal prossimo Mondiale, non perda un’altra occasione per riconquistare credibilità.
Ciro Troise
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