Sarà difficile riaccendere serenamente la passione per il Napoli, il tifoso oggi è sportivamente depresso. È impossibile non esserlo, dopo un anno e mezzo fuori dallo stadio, trascorso a seguire il calcio ai tempi della pandemia, vedere una squadra incapace di fare la propria partita nel momento decisivo.
Il Napoli è stato colpito da uno psicodramma, come uno studente che ha trascorso gli ultimi tre mesi a prepararsi per l’esame decisivo e poi, colpito dalla tensione, fa scena muta davanti al professore.
Il Verona ha fatto una partita attenta, organizzata, intensa, mettendo in campo le sue storiche caratteristiche: pressing alto, battaglia uomo su uomo a tutto campo, la capacità di togliere il respiro alla manovra del Napoli.
Niente d’insormontabile, gli azzurri, nelle rare occasioni in cui riuscivano a prendere campo, arrivavano nell’area avversaria senza grossi problemi.
La società deve crescere nei rapporti interni
Il Napoli si è fatto prendere dalla tensione, ha patito la sindrome vissuta dal Milan contro il Cagliari con l’aggravante che si giocava l’ultima partita e, quindi, con le notizie che arrivavano da Bologna si percepiva il rischio di perdere l’obiettivo a pochi passi dal traguardo. Gattuso ha provato varie strade dalla panchina per cambiare l’inerzia dell’incontro ma non ce l’ha fatta, anzi è sembrato anche lui in balia dello psicodramma generale.
È un epilogo che deve far riflettere tutti su vari aspetti. Che valore hanno calciatori che puntualmente ricadono in situazioni del genere? La ferita del 2018 era ancora fresca, in quel caso c’era l’attenuante di Inter-Juventus ma il risultato fu lo stesso: il Napoli mollò prima nella testa e poi nelle gambe.
Perché cambiano gli allenatori ma nelle gare decisive il Napoli viene sempre meno? Possiamo ricordare Bologna-Napoli con Mazzarri che costò la Champions, le partite contro Athletic Bilbao, Dnipro, Lazio dell’era Benitez, la sfida di Firenze con Sarri?
Nella preparazione di questi appuntamenti conta anche la struttura societaria, la capacità di dare serenità, di non alimentare la tensione. Il Napoli è arrivato al termine della stagione attraversando una guerra “pubblica” tra presidente e allenatore in cui è successo di tutto: attacchi mediatici pilotati, intervista di risposta di Gattuso dopo Napoli-Parma, il silenzio stampa durato tre mesi.
Tutto questo è accaduto l’anno dopo l’ammutinamento, una novità assoluta nel mondo del calcio, un’esperienza che a quanto pare ha insegnato poco al Napoli nella gestione dei rapporti interni e nella ricerca dell’armonia tra tutte le componenti.
14 punti persi da situazioni di vantaggio: il Napoli ha grossi limiti psicologici
A breve De Laurentiis dovrà ripartire, individuare un nuovo allenatore, serviranno insieme umiltà e coraggio, con la consapevolezza di aver sprecato l’occasione di poter modificare gli equilibri del calcio italiano mandando la Juventus fuori dalla Champions League.
La prestazione contro il Verona è uno psicodramma ma nell’analisi di un’annata va messo tutto, anche la lotta ad armi impari come dimostrano il gol annullato ad Osimhen contro il Cagliari e il rigore su Cuadrado in Juventus-Inter.
Non sono dettagli o alibi, come vengono chiamati nei tribunali mediatici dei giudizi sommari, ma aspetti che vanno messi sulla bilancia come la prestazione di ieri sera.
Il Napoli ha perso quattordici punti da situazione di vantaggio. Ogni volta che non ha chiuso la gara, ha fatto fatica a portare a casa la vittoria. Quando ce l’ha fatta come a Bologna all’andata o col Milan al ritorno, nel finale ha rischiato di farsi acciuffare.
Lo dicevamo dopo Napoli-Spezia, quando i soloni si dilettavano nel comodo attacco a Gattuso come unico responsabile di tutti i mali. Questa squadra è sopravvalutata non perché non è forte, ha tanta qualità ma ha dei ciclici problemi che si ripresentano. Non ha dei grandi leader, ancora di più quando manca Koulibaly, è un organico incompiuto senza un centrocampista centrale capace di gestire i tempi del gioco, i momenti della partita, un’alternativa in attacco con caratteristiche simili ad Osimhen.
C’è una questione mentale che si trascina da anni, il Napoli ha sofferto addirittura con giocatori scuola Real come Albiol, Callejon, Reina e Higuain, abituati alla vittoria, figuriamoci senza questi uomini di spessore.
Nella pianificazione del futuro, non bisogna sottovalutare quest’aspetto, conta più di qualsiasi altra cosa anche se uno psicodramma come Napoli-Verona non era neanche nelle più fosche previsioni.
Ciro Troise
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