“La pelota no se mancha”, da ieri sera questa frase di Diego ispira i miei pensieri. Il Napoli nel girone di ritorno ha già fatto 32 punti come l’Atalanta, ne ha tredici in più rispetto ad un anno fa, negli scontri diretti ne ha fatti 19 come l’Inter. L’obiettivo non è ancora raggiunto e c’è ancora da sudare, la Lazio è tornata in corsa e il Napoli può mandare almeno una tra Juventus e Milan fuori dalla Champions. Non bisogna assolutamente abbassare la guardia, domenica arriva il Cagliari che ha energia, aggressività ed è coinvolto nella lotta salvezza.
Non sono i numeri e gli obiettivi a farmi riflettere da ieri sera ma il campo che, alla faccia della Superlega, è il giudice supremo di questo sport.
Il Napoli di Torino è un manifesto
Il Napoli di Torino è un manifesto, neanche la gara contro la Lazio ha trasmesso le convinzioni maturate contro Belotti e compagni. Costruire una squadra che funzioni non è banale o semplice, il Napoli ha vissuto poi un percorso complesso passato per il ciclo di Sarri da superare, il fallimento dell’esperienza Ancelotti e la sfortuna dell’assenza degli uomini-chiave in quest’annata.
Il Napoli è una squadra non identitaria, il lavoro, quindi, è più complesso perché bisogna imparare a saper interpretare le partite in modi differenti. Negli ultimi due mesi Gattuso ha costruito una squadra che è cresciuta tanto in termini di maturità e personalità, sa leggere i momenti, adeguare i principi di gioco e il piano-partita a ciò che accade in campo.
Gli azzurri hanno imposto il proprio gioco alternando il palleggio corto ad un tocco, l’uscita palla sulle catene laterali, la costruzione dal basso con un efficace Bakayoko a fare il riferimento, e l’attacco in campo aperto con Osimhen, un’arma essenziale purtroppo mancata per cinque mesi tra infortuni, Covid e il lavoro forzato per recuperare la migliore condizione quando non era ancora in forma.
Il Napoli ha dominato il campo, si è saputo anche adeguare a quanto fatto dagli avversari che cercavano di portare la partita sui binari del duello fisico.
La perfezione non esiste, magari va fatto qualche appunto sulle occasioni sprecate e sulla palla persa da Politano che porta alla palla-gol di Ansaldi su cui Meret ha risposto presente.
“La pelota no se mancha”: a costruire ci vuole tanto, a distruggere un attimo
Da Torino, però, il Napoli porta nell’aereo e nelle riflessioni del giorno di riposo la consapevolezza che per costruire serve tanto lavoro mentre a distruggere bastano pochi attimi. Dopo la sconfitta di Verona, Gattuso non è stato protetto come, invece, accaduto a Conte all’Inter e a Pirlo alla Juventus.
De Laurentiis, drammatizzando il momento difficile, ha alimentato la sfiducia nell’allenatore, passando dalla corsa al rinnovo di ottobre ai silenzi di metà gennaio. Il patron ha poi corretto il tiro, aiutando concretamente la squadra ma è difficile eliminare le scorie di quella tempesta.
Il Napoli in campo era afflitto dalle assenze, aveva sbandato al cospetto del calendario ingolfato, Gattuso veniva dipinto come l’unico colpevole in un processo continuo, permanente utilizzando anche spesso toni che non appartengono al dibattito civile.
Tutto ciò è il passato, la pelota no se mancha. Non era scontata l’empatia così forte tra Gattuso e la squadra, il coinvolgimento puro anche di chi è in scadenza come Hysaj, il lavoro di Bakayoko che si è riscattato dai giudizi sommari, la crescita tattica e mentale che si è vista soprattutto a Torino.
De Laurentiis è il capo dell’azienda, tocca a lui il primo passo
De Laurentiis è il capo dell’azienda, tocca a lui rilanciare il rapporto con Gattuso, l’allenatore che ha ricostruito il Napoli dalle macerie dell’ammutinamento. Non esistono i Messia, ha valore la continuità, nel calcio ciò che sta funzionando va toccato il meno possibile.
Ne sa qualcosa il Napoli che ha dovuto superare lo splendido ciclo di Sarri. La rottura è stata seria, profonda, ha toccato corde esterne al terreno di gioco ma anche Gattuso sa che “la pelota no se mancha”. La Fiorentina è un’altra squadra “malata” da rigenerare, perché andare sempre indietro quando si può andare avanti?
Perché interrompere il film di Torino quando all’orizzonte s’intravede una stagione con un calendario “normale” e il ritorno del pubblico negli stadi?
De Laurentiis è abituato a regalare colpi di scena: perché non farne un altro? Il campo vi impone un passo indietro anche se sembra quasi impossibile.
Ciro Troise
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