“Se ha inciso Inter-Juventus sull’approccio alla nostra partita, è un grosso limite nostro”, così Maurizio Sarri in conferenza stampa ha commentato il crollo del Napoli a Firenze. Gli azzurri sono in calo da diverse settimane, per quelli che non sono abituati a vincere lo stress mentale della lotta per il titolo con una corazzata è duro da reggere. Sarri ha compiuto una scelta, ha deciso di puntare su un gruppo dei titolarissimi condividendo un patto per lo scudetto e insistendo sulle certezze del proprio lavoro, sui meccanismi nelle due fasi conosciuti a memoria, sia a livello offensivo che difensivo. Il popolo azzurro ha condiviso questa filosofia, ha vissuto con grande pathos il sogno tricolore accettando anche con serenità l’eliminazione dalle coppe, sapendo che con l’organico a disposizione l’unica strada per coltivare un traguardo atteso da ventotto anni fosse dedicare tutte le energie allo scudetto.
Nessuno è perfetto, tutte le scelte sono opinabili nella gestione della rosa ma resta una certezza: la linea di Sarri ha pagato perché il Napoli, a tre partite dalla fine, ha 84 punti, molti di più rispetto all’analisi del valore complessivo della sua rosa, inferiore per profondità, esperienza e personalità anche alla Roma che è quattordici lunghezze dietro gli azzurri.
A Napoli “vincere non è l’unica cosa che conta”, un “popolo d’amore”, usando la storica definizione di De Crescenzo, si è emozionato con la favola di Davide contro Golia, quando vede annullare sul campo con il gioco e la determinazione il gap in termini di fatturato, monte ingaggi e valore complessivo e ha trascinato un gruppo capace di portare a casa 28 punti in rimonta, di non perdere in trasferta per 30 partite consecutive, di sfatare il tabù dell’Allianz Stadium. Solo Buffon con otto titoli ha vinto più scudetti di tutta la rosa del Napoli (sei), in alcuni momenti decisivi, complice anche la stanchezza, gli azzurri non ce l’hanno fatta a reagire, nella sfortunata gara contro la Roma o ieri a Firenze, complice anche l’espulsione di Koulibaly che ha determinato il dominio complessivo del campo da parte dei viola. Gli azzurri non devono farsi una colpa, ma prendere atto dei propri umani limiti, la società, per continuare il suo percorso di crescita, dovrebbe attrezzarsi per fare in modo di superarli, sicuramente il mercato estivo e l’inesistente campagna acquisti invernale non sono state all’altezza. I fatti vanno evidenziati nella sua complessità e nell’analisi della caduta del Napoli a Firenze, non si può far finta di non sapere che, nella sala Brunelleschi di “Villa Medici”, dopo aver visto la rimonta della Juventus contro l’Inter, gli azzurri hanno avvertito la sensazione che l’avversario non solo è più forte ma nel momento decisivo è avvantaggiato da direzioni arbitrali pessime. Le decisioni errate dei direttori di gara viste nelle trasferte della Juventus a Cagliari, Roma e Milano, l’applicazione forzata del protocollo Var contro Fiorentina e Inter sottraggono ancora credibilità al calcio italiano, un movimento alla frutta, fuori dai Mondiali dopo sessant’anni, con la Figc commissariata e che fa grande fatica a vendere i diritti televisivi all’estero. Non è vero che negli anni d’oro la Serie A era considerato il campionato più bello del mondo solo per i campioni che facevano le fortune di tante squadre ma anche per l’imprevedibilità che essa esprimeva. Nell’epoca post Calciopoli la Juventus ha preso il sopravvento come il Bayern Monaco in Germania e il Paris Saint Germain in Francia, ha acquisito un grande vantaggio economico con lo stadio di proprietà, le capacità sul mercato, l’organizzazione societaria ma la sensazione che alla fine in Italia si riesca sempre a trionfare toglie competitività anche alla stessa Juventus a livello internazionale. Abbiamo ancora le immagini di Madrid davanti ai nostri occhi, Golia che diventa Davide e accusa il sistema che premia chi è più potente, la fotografia della scarsa abitudine alla sconfitta soprattutto al 93’ su rigore. Il Napoli non deve disperdere il patrimonio d’emozioni che ha regalato alla sua gente, le speranze sono quasi nulle ma deve onorare il proprio popolo fino all’ultimo respiro, senza concedersi momenti di relax. Deve dare il suo contributo anche la tifoseria, a partire dalla gara contro il Torino, quando il cuore pulsante di Fuorigrotta deve battere più di prima per onorare quest’avventura.
Ciro Troise
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