“Maledetta primavera”, cantava Loretta Goggi, un’esclamazione che per altri motivi è frequente anche in casa Napoli. Gli azzurrini sono ultimi in classifica, se finisse oggi il campionato retrocederebbero in compagnia del Chievo in Primavera 2. Un epilogo da evitare assolutamente, oltre l’onta della retrocessione tale risultato rappresenterebbe un ulteriore freno alla crescita del settore giovanile negli investimenti, nello scouting, nel percorso dei ragazzi.
La stagione della Primavera del Napoli non è una sorpresa, già due anni fa ci fu la salvezza all’ultimo respiro con l’ausilio di Ounas, dopo la riforma il campionato è competitivo e un club che investe complessivamente nel vivaio poco meno di due milioni ha il rischio d’incappare in queste annate, come avvenuto del resto negli anni scorsi alla Lazio e al Milan. Il talento di Gaetano ha fatto la differenza, parlano i numeri: 41 reti in due campionati e mezzo rappresentano un patrimonio molto importante. L’ex numero 10 della Primavera del Napoli trasferiva certezze, era una valvola di sfogo rilevante per il gioco, aiutava anche la squadra a tenere il baricentro alto. L’assenza, però, non deve diventare un alibi, sin dall’estate era chiaro che il Napoli dovesse lottare per la salvezza ma gli azzurrini non valgono 9 punti in 13 giornate in un torneo in cui ci sono squadre di livello inferiore a quella di Baronio. Sulla classifica pesano i pochi punti negli scontri diretti: nella fascia che va dal settimo all’ultimo posto, il Napoli ha portato solo una vittoria e due pareggi in otto gare. Bisogna partire da questo dato per capire ciò che non va. La sensazione è che tutto parta dalla testa, bisogna migliorare tantissimo nell’aspetto mentale. La squadra non ha ancora assorbito la sua dimensione, nei momenti decisivi non ha la personalità giusta per portare a casa il risultato. Formarsi per il professionismo passa anche per l’acquisizione di queste qualità: saper soffrire, leggere le partite e le situazioni che possono verificarsi. Pesano nella classifica del Napoli il pareggio subito in extremis contro il Chievo Verona, le sconfitte incassate in rimonta contro Sassuolo, Sampdoria e Lazio. In questi quattro scontri diretti il Napoli ha perso undici punti in situazioni in cui era in vantaggio e anche per ampi tratti in discreto controllo della gara. Se non fosse accaduto tutto ciò, oggi parleremmo di un campionato completamente diverso di Senese e compagni. Quest’analisi pone un problema di cui tutti devono sentirsi responsabili: società, allenatore con il suo staff e la squadra perché è evidente che si possa fare di più.
La classifica è corta, la salvezza non è lontana, il Pescara, che il Napoli affronterà domenica 19 gennaio in trasferta, in zona play-out ha solo due punti di vantaggio, la Fiorentina quintultima, che rappresenta la salvezza, è distante cinque lunghezze.
Il Napoli rispetto ad un anno fa ha segnato tre gol in meno e subito cinque in più, considerando solo il campionato non si tratta di un divario che giustificherebbe i dodici punti in meno rispetto a dicembre 2018. La differenza è nella gestione dei momenti decisivi, in tante partite importanti e alla portata il Napoli ha fallito sotto il profilo dell’applicazione e della personalità.
Le goleade incassate in Europa esprimono un problema diverso, il divario con club come Salisburgo e Liverpool è molto ampio, espone il Napoli alle brutte figure che, infatti, sono arrivate. Tutto ciò appartiene al passato, il futuro è la missione che Senese e compagni devono portare a casa nel 2020: la salvezza. Vale tanto, molto più di quanto sembra in un periodo in cui le complicate vicende della prima squadra hanno tolto attenzione sulla Primavera.
Ciro Troise
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