Mercoledì s’affrontano Juventus e Napoli, due squadre che si somigliano più di quello che sembra. Sono due club in transizione, entrambi hanno provato a trasformarsi e hanno pagato dazio. La Juventus ha ceduto la sua identità all’azienda individuale Cristiano Ronaldo, poi ha provato ad inseguire la chimera del bel gioco con Sarri e, infine, ha ripiegato sul debuttante Pirlo per continuare a stare nel limbo in attesa di accelerare la rifondazione quando potrà liberarsi dei costi insostenibili di Cr7.
Il Napoli ha ridimensionato la sua capacità di player trading, dopo quattro anni consecutivi di Champions League ha pensato di poter stabilizzarsi nell’èlite con Ancelotti in panchina e si è smarrito. Con Gattuso poi ha ritrovato la strada più consona, ha portato a casa la Coppa Italia e in una stagione balorda è tornato nella zona che gli compete, quella della corsa Champions.
Il rimpianto sta nell’emergenza che ha complicato la stagione tra metà dicembre e metà febbraio, con i suoi uomini-chiave tutti a disposizione avrebbe affrontato molto meglio la doppia sfida contro il Granada in Europa League e probabilmente con un po’ di punti in più darebbe fastidio all’Inter.
Il Napoli e la Juventus non sono squadre “identitarie”
Il Napoli dipende dai suoi uomini-chiave, con loro ha una struttura tattica, sa stare in campo anche in modi diversi. La Juventus ha perso certezze ed entusiasmo, va a fiammate e fa paura quando le accelerazioni trovano costanza. Pirlo anche ha delle risorse fondamentali: il cambio di passo sulle catene laterali di Cuadrado e Chiesa, la capacità di fare regia di Arthur, l’energia dinamica di McKennie e ovviamente è evidente l’assenza della fantasia di Dybala tra le linee (basta ricordare Milan-Juventus).
Né il Napoli né la Juventus sono squadre “identitarie”, lo erano ai tempi di Sarri e Allegri e, infatti, sia De Laurentiis che Agnelli sono nostalgici come uomini ancora innamorati della prima fidanzata perché si vuole tornare sempre dove si è stati bene.
Le squadre identitarie hanno una sovrastruttura tattica che riesce a coprire anche la differenza qualitativa dei singoli, un esempio è l’Atalanta che non si snatura perdendo il Papu Gomez, un pezzo di storia.
Non bisogna essere per forza “identitari” per raggiungere gli obiettivi, si può anche inseguire la strada della gestione del talento dei singoli, con la complicata sfida di individuare per ogni gara il piano partita più adeguato.
Facciamo un esempio straniero per capirci: l’Atletico Madrid è identitario, il Barcellona anche, il Real Madrid di Zidane è molto più flessibile di quello che appare. I blancos sono ai quarti di Champions e in lotta per il titolo, quindi inseguire l’identità non è una religione a cui aderire necessariamente.
Koulibaly è l’anima della fase difensiva, Mertens di quella offensiva
Il Napoli, in virtù delle sue caratteristiche non identitarie e del dislivello tra titolari e riserve, dipende dai suoi uomini-chiave. Non avere un’identità stabile non significa non possedere principi di gioco e, infatti, il Napoli ne ha anche di diverso tipo: la costruzione dal basso, la ricerca delle catene laterali e, quando c’è Osimhen, a tratti e non con grande frequenza, l’attacco alla profondità, l’appoggio sul centravanti con l’idea di conquistare la seconda palla.
Koulibaly rappresenta l’anima della fase difensiva, incarna sia la richiesta di tenere la difesa alta e aggressiva che la qualità nella costruzione dal basso. Parlano i numeri: nelle undici gare senza Kalidou il Napoli ha subito 19 reti su 48 (il 39,6%), la media passa dall’1,17 all’1,72 gol a partita.
Da quando è finita l’emergenza in fase offensiva, il Napoli è tornato a segnare con regolarità, nelle ultime sette gare ha realizzato 17 gol, nelle precedenti sette sfide aveva segnato soltanto sette reti. 16 dei 17 gol del ciclo post Atalanta sono arrivati con Mertens in campo che consente al Napoli di tracciare sentieri di qualità: basta pensare alle combinazioni con Insigne, alla capacità di legare il gioco, alla rapidità di pensiero ed esecuzione con cui alza il livello della proposta offensiva e poi ai colpi come le punizioni. Un altro indiscutibile uomo-chiave è Insigne, non è un caso che il Napoli non sia riuscito a far gol in sei gare e in tre occasioni Lorenzo non c’era (contro Sassuolo, Az Alkmaar e Lazio).
C’è poi un altro fattore-chiave che è meno visibile ma non per questo motivo di rilevanza minore: l’energia dinamica di Demme che aiuta a pulire la costruzione dal basso e libera anche il talento di Fabian Ruiz.
I numeri non sono mai casuali: Diego era in campo solo in cinque delle dodici sconfitte stagionali del Napoli. Il suo recupero per la trasferta di Torino è molto importante.
Ciro Troise
Condividi:
- Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per condividere su Ok Notizie (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per inviare un link a un amico via e-mail (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pocket (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra)
- Altro