Prima domanda a Dries Mertens. Che effetto fa giocare il Mondiale senza l’Italia?
«Subito una bella domanda. Mi dispiace tanto per l’Italia perché sono qui da cinque anni e non è bello vedere amici come Jorginho e Insigne che non vanno al Mondiale. L’Italia è una squadra che meritava di qualificarsi, è una delle grandi del calcio mondiale. Secondo me il problema è stato essere nel girone eliminatorio con la Spagna. La Spagna per me è, con la Germania, la squadra più forte. Arrivare secondi nel gruppo era immaginabile. Nel play off l’Italia è stata anche sfortunata».
Che impressione le ha fatto vedere Buffon piangere?
«Mi dispiace perché tutti abbiamo un grande rispetto per lui e perché poteva essere il solo giocatore a fare sei Mondiali. Il calcio in Italia è una bellissima malattia. Quando sono arrivato a Napoli mi sono reso conto che tutti seguono con una immensa passione il calcio, anche le nonne. Tutti guardano il calcio e vivono il calcio. Con una intensità rara, in altri Paesi».
Sì, per noi l’eliminazione è una specie di dramma nazionale. E’ dal 1958 che non ci succedeva, quindi siamo tristi. Invece vedere Lorenzo Insigne in panchina che impressione le ha fatto?
«Ho parlato con lui, mi ha detto che è stata una scelta dell’allenatore. Scelte che chi fa il nostro mestiere deve saper accettare».
Come è stato l’incontro con il Napoli? Con la squadra e con la città?
«Avevo giocato qui con l’Utrecht. Mi erano piaciuti subito la città e il suo spirito. Quando la società mi ha acquistato sono venuto con tutta la famiglia e mi sono ambientato facilmente. E’ molto diverso il sentimento della gente di Napoli per il calcio e i suoi protagonisti rispetto a quello a cui ero abituato in Belgio. Ci sono un calore, una solidarietà che ti aiutano a vivere bene una città che non è la tua. Napoli si stringe attorno ai giocatori della sua squadra, li fa sentire tutti napoletani da sempre».
Che cosa le ha insegnato Sarri?
«Il calcio. E’ un allenatore che mi piace. E’ un tecnico preparato e persino scientifico nella cura delle partite. Una cosa che mi piace del suo gioco è il modo in cui organizza le fasi in cui noi abbiamo il possesso di palla e poi come struttura la pressione che facciamo sugli avversari nelle fasi in cui sono loro a giocare il pallone. Mi piace come prepara ogni incontro. Sembra che già hai giocato la partita e in campo sembra che la tua squadra abbia un uomo in più».
Fonte: Corriere dello Sport
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