Nel calcio cinese non farà il turista anche se gli stimoli contro il Whuan o lo Shandong saranno quelli che saranno. A Marek Hamsik, come al solito, è bastato poco per capire già tutto, ovvero che lì in Cina il pallone lo frequentano sul serio e non per ridere. E al Napoli è bastato appena un mese dal suo congedo per capire quanto era importante Marekiaro per ogni cosa. Hamsik racconta e si racconta in questa intervista esclusiva al Mattino, la prima da quando gioca con il Dalian. Da bandiera qual è, che non si ammaina mai neppure se sventola dall’altra parte del mondo. «Perché io per la maglia azzurra ho sempre dato tutto me stesso».
Hamsik, ha imparato già il cinese?
«Due parole. So dire ni hao e xiexie, ciao e grazie. Per il resto non ci provo neanche».
Che impressione ha avuto del calcio che si gioca in Asia?
«È diverso da quello della serie A perché il livello medio è più basso, il ritmo differente e anche tatticamente cambia molto».
Lei è una vera star per il Dalian, le pesa questo ruolo?
«Tutto mi sento tranne una star. Mi hanno accolto con affetto, con i fiori, sono tutti gentili, vedo grande professionalità. Ma devono trattarmi come fanno con gli altri».
Cosa le manca di Napoli?
«Ogni cosa. Gli amici, il cibo. Quella è la mia casa, lo è stata per dodici anni».
E del Napoli?
«Mi manca sentire il San Paolo, il tifo della gente. Mi manca una partita come quella contro la Juve che è in grado di dare delle sensazioni uniche e straordinarie come poche altre».
Le beghe del calcio italiano non le mancheranno: era da espulsione l’intervento di Meret?
«Difficile. Certo se Ronaldo non alza la gamba si può far male, però è anche vero che Meret non l’ha preso. Stare al posto dell’arbitro non è mai cosa semplice».
Era così irraggiungibile la Juve?
«Vedendo la partita e i novanta minuti in cui il Napoli ha dominato, direi proprio di no. Però poi pesano su tutto i soliti punti lasciati per strada nel corso del campionato che noi del Napoli riusciamo a perdere puntualmente e che loro, invece, non perdono mai».
Vero che se il Napoli fosse stato in lotta per lo scudetto non avrebbe chiesto a De Laurentiis di andarsene?
«Può darsi: perché vincere lo scudetto al Napoli, rendere felici i napoletani, sarebbe stata una cosa incredibile che non mi sarei perso per tutto l’oro del mondo».
In dodici anni a quale allenatore è rimasto più legato?
«Reja è stato il primo che ho avuto quando ero davvero piccolo, con Mazzarri abbiamo vinto le prime coppe, con Sarri abbiamo avuto l’orgoglio di aver giocato il calcio più bello d’Europa. E Ancelotti è un vero fuoriclasse della panchina».
Si è dimenticato di Benitez.
«Al di là delle troppe sostituzioni anche con lui il rapporto è stato buono. Però per il mio tipo di calcio i tre anni di Sarri sono stati straordinari».
Ha mai perdonato allo spagnolo la panchina di Kiev con il Dnipro?
«Quella mi è pesata, e non poco. Non l’ho capito, però l’ho perdonato».
Stasera il Napoli inizia la scalata verso la finale di Baku.
«Si può arrivare fino in fondo, abbiamo (perché Marek parla ancora come se fosse al Napoli, ndr) le carte in regola anche se ci sono tanti avversari temibili come Chelsea, Siviglia, Arsenal, Benfica, Valencia. E guai a pensare che il Salisburgo sia un avversario facile. Non lo è. E lo devono capire soprattutto i tifosi napoletani che devono dare una grossa mano nella gara di stasera come in tutte quelle in casa».
La sua maglia numero 17 chi vorrebbe che la indossasse?
«Spero in un napoletano. Un giovane, bravo e pieno di entusiasmo».
Che addio è stato?
«Non come volevo io, perché quando sono uscito dal campo con la Sampdoria non sapevo come sarebbe andata a finire. Ma è stato tutto rapido, improvviso. In poche ore ho detto sì e ho parlato ai miei compagni. Poi la trattativa si è prolungata ma in quei giorni sapevo che sarei andato via e che alla fine un accordo si sarebbe trovato. Ritornerò per salutare i miei tifosi come si deve».
Lo scudetto perso lo scorso anno è il suo più grande rimpianto?
«Sì, una ferita che brucia ancora. Ci siamo arrivati davvero a un soffio».
Perché Sarri dice che l’avete perso in albergo?
«Non è così. Le partite e i campionati si perdono in campo, non in albergo. E penso proprio di averlo perso sul terreno di gioco della Fiorentina».
A fine carriera si vede dirigente con il Napoli o allenatore?
«Alla fine mi vedo per un bel po’ di anni in giro con i miei amici di Pinetamare a vedere partite allo stadio e a divertirci. Pinetamare è il posto del mio cuore, ho capito subito che era casa mia. E non mi è mai mancato niente».
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