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Lo sconto sugli abbonamenti non è bastato per creare empatia

Lo stadio rinnovato e gli sconti non bastano, c’è una distanza profonda con la società

Il Napoli è terzultimo nella classifica degli abbonamenti e può a breve essere scavalcato dall’Atalanta che ancora deve iniziare la vendita libera, quindi virtualmente ha solo la Spal con un numero più basso di tessere vendute.

Se si fa un’analisi in superficie, si rischia di navigare in un oceano di dubbi: il Napoli è una squadra d’ottimo livello, già migliorata in questa sessione di mercato e che potrebbe crescere ancora, con uno degli allenatori più vincenti al mondo, lo stadio è stato rinnovato e i prezzi degli abbonamenti sono i più bassi degli ultimi nove anni. Il quadro dovrebbe presupporre una corsa all’abbonamento e, invece, la campagna va a rilento perché manca un tassello determinante: l’empatia. L’abbonamento è un atto d’amore, chi lo sottoscrive affida una parte dei risparmi alle gesta della squadra assicurandosi il diritto di seguirla da vicino, le emozioni che trasmettono le sue gare dal vivo, non con la distanza fredda del televisore da casa.

Alla base degli atti d’amore c’è l’empatia, quella forza travolgente che si ritrova per esempio nel popolo di Dimaro o nelle trasferte in giro per l’Italia e l’Europa, dove s’incontrano i napoletani che vivono altrove. Per loro il Napoli ha il significato ampio, profondo, viscerale che il calcio ha sempre avuto per la nostra terra, è un punto d’incontro con la propria famiglia, gli affetti, gli amici, il mare, tutto ciò che è stato messo da parte trasferendosi in altri luoghi. L’empatia a Napoli riguarda una fetta di pubblico minoritaria, sicuramente il tifo organizzato è la sua anima più passionale ma dalla campagna abbonamenti al momento è tagliato fuori perché per sottoscrivere il “tagliando annuale” bisogna avere la fidelity card, uno strumento che il mondo delle curve in larga parte ripudia. Non basterebbe un libro per realizzare un’analisi dettagliata del “calo di passione” che travolge Napoli. Un momento-chiave è sicuramente il campionato di due anni fa, gli abbonati erano pochi ma per le gare di serie A la media spettatori è stata tra le più alte dell’era De Laurentiis (soltanto nel 2009-10 e nel 2010-11 i numeri sono stati superiori).

A Fuorigrotta in media hanno trascinato gli azzurri 43072 spettatori, un popolo che ha assorbito la frustrazione della mancata vittoria, respirato l’idea che in Italia vince il più forte e non il più bravo anche per gli errori arbitrali che hanno favorito la Juventus nel momento decisivo del campionato. Ridimensionare il diritto a sognare la vittoria significa colpire in maniera feroce lo spirito con cui un tifoso segue il calcio ma ridurre tutto alle vicende dello scudetto del 2018 significherebbe dare una lettura parziale della tematica. A Napoli si respira una distanza profonda tra la società e il suo popolo, De Laurentiis ha il grande merito di non aver creato circoli viziosi nei rapporti tra club e tifoseria ma in virtù anche di certe sue uscite pubbliche il tifoso si sente un cliente.

Il calcio degli orari al servizio delle pay-tv, sempre più espressione del business virtuale piuttosto che della passione reale, esprime in maniera più generica questa deriva ma Napoli è l’esempio più pesante di questa storia.

Il calo di passione si potrebbe riassumere così: un’ampia parte di tifosi si è trasformata da sostenitore a cliente che, avvertendo anche distacco nei confronti del fornitore del “servizio Napoli”, diventa anche molto esigente, pensando anche che il Napoli possa fare degli sforzi economici non alla sua portata. Bisogna creare empatia, la campagna abbonamenti rappresenta un primo passo importante ma non basta, c’è bisogno come il pane degli allenamenti a porte aperte al San Paolo, di una presentazione della squadra fatta in città (magari a Piazza Plebiscito o allo stesso San Paolo), d’avvicinare talvolta il centro sportivo ai tifosi, soprattutto ai bambini come a Dimaro.

Il “colpo a sensazione”, l’acquisto di Icardi o James Rodriguez, genererebbe sicuramente entusiasmo ma sarebbe una spinta temporanea. Il “calo di passione” va affrontato e risolto alla radice, generando empatia, la squadra e la tifoseria hanno bisogno di compattarsi, di sentirsi un unico corpo.

 

Ciro Troise

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