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Insigne, il San Paolo e il progetto tattico: il Napoli è ripartito dall’identità

Dalla tattica ad un ambiente che torna ad essere caldo, il Napoli deve tenersi stretta la sua identità

La play-list del San Paolo anche sembra ritrovare un po’ d’identità, di risveglio della napoletanità. Il Napoli ha ritrovato se stesso, si è confrontato nella notte dopo la gara contro la Fiorentina e Gattuso ha insistito sulle sue convinzioni. Nell’era Ancelotti è fallita l’utopia di trasformare le certezze dei principi di gioco di questa squadra che non è costruita per giocare in campo aperto, puntare sulle letture individuali, sulla verticalità. Il Napoli ha un altro dna, nel calcio non esistono le ideologie ma le caratteristiche dei giocatori, lo dimostrano il Chelsea e la Juve di Sarri che sono profondamente diverse dalla “macchina perfetta” che illuminava il San Paolo.

Il Napoli è una squadra associativa, dove il collettivo esalta le individualità e non viceversa. Gli azzurri in entrambe le fasi amano lavorare di reparto, conquistare campo palleggiando in modo da far uscire gli avversari e aprire gli spazi, si esprimono al meglio se puntano sulla capacità di ricompattarsi quando si perde palla avendo adesso, dopo la cura Gattuso, la gamba per stare in 22-23 metri di campo in fase di non possesso e in circa 30 metri quando gestiscono il pallone. Gattuso ha saputo adeguarsi al momento difficile e ha chiesto ai suoi ragazzi anche d’abbassarsi quando c’è bisogno, di rispettare di più gli avversari, non è il momento del pressing alto e ultraoffensivo. Demme non è Jorginho ma il Napoli ha ritrovato fluidità e più convinzione nei propri mezzi nell’uscita palla e in fase difensiva con un centrocampista di posizione gli azzurri coprono in maniera più accurata gli spazi tra le linee. Le idee di Ancelotti avevano costruito il Napoli dalle grandi serate che non riusciva a trovare continuità, basta pensare che in quest’annata gli azzurri non sono mai andati oltre le tre vittorie consecutive.

Il simbolo dell’identità tattica ritrovata è Lorenzo Insigne che ha assunto il ruolo di capitan riscatto durante i 46 giorni di lavoro di Gattuso. Insigne ha salutato un allenatore che l’aveva messo sul mercato per far spazio a James Rodriguez come rifinitore e uno tra Pepè e Lozano da giocatore di squilibrio ad un tecnico che, invece, l’ha reso leader tecnico del suo progetto affidandogli le chiavi della rinascita del Napoli. Lorenzo da regista offensivo nel 4-3-3, partendo da sinistra e venendo dentro al campo, si è affermato da qualche anno come miglior giocatore italiano al punto che Mancini ha costruito intorno al suo talento la proposta di gioco della Nazionale che ha battuto il record di Pozzo. Si era innescata quindi una dinamica che a Napoli è ricorrente anche in altri ambiti. Insigne era apprezzato più altrove che nella terra in cui è cresciuto, un film già visto in una città che non sa valorizzare i suoi talenti. Essendo un prodotto del settore giovanile azzurro, dovrebbe essere preservato e, invece, diventa, anche per alcuni errori commessi dallo stesso Insigne negli atteggiamenti, il bersaglio su cui sfogare le frustrazioni nei momenti difficili. Non è un caso che Insigne, napoletano doc, sia diventato il simbolo di questi due successi contro la Lazio e la Juventus. Nel contesto di una prima parte di stagione mediocre, Insigne è il giocatore che nel Napoli ha partecipato di più ai gol creati, nel 2020 addirittura ha portato a casa la percentuale del 100%: il Napoli ha segnato sei gol, in tutti c’è il suo zampino. Oltre all’aspetto tattico, ha inciso tanto anche il ritorno del tifo organizzato al San Paolo, Insigne si è fatto trascinare, ha condotto questo percorso all’insegna dell’empatia tra la gente e la squadra, una caratteristica fondamentale del Napoli, un baluardo per la storia di questo club. Il Napoli ha cambiato abito anche nell’energia mentale profusa, nelle motivazioni, ha assorbito tensione e adrenalina grazie alla spinta delle curve. La missione di Gattuso è non cambiare volto a questo gruppo, fare in modo che non perda la rabbia, la cattiveria agonistica e l’intensità che ha messo in mostra contro la Lazio e la Juventus. “L’obiettivo è arrivare quanto prima a 40 punti, poi vediamo”, così Gattuso ha chiesto alla squadra di tenere le mani sul manubrio senza voli pindarici, conservando il volto feroce di chi vuole tirare fuori il Napoli dalle difficoltà in cui si è infilato.

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