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Il problema non è il San Paolo, il problema è che i napoletani sono stati trasformati da tifosi in clienti

La metamorfosi tanto invocata da De Laurentiis si è trasformata in un boomerang per il patron

Un San Paolo sotto le 20mila presenze è un colpo al cuore, così come la protesta social per disertare anche contro la Juve è un qualcosa di inaspettato. Non accadrà, perché contro i bianconeri il colpo d’occhio è assicurato. Ma solo il parlare di un possibile “tutto deserto” per quello che è forse l’unico derby di una città senza derby farebbe già notizia.

Perchè il San Paolo è sempre più vuoto? Come sempre la causa è complessa e difficilmente la si può ridurre ad una serie di fattori come “la Juve ruba”, “il San Paolo è un cesso”, “non do i soldi a De Laurentiis”, ecc… Così come è ingiusto, e forse un po’ da snob, definire “occasionali” chi ha fatto la scelta di non andare a Fuorigrotta per le partite del Napoli.

C’è però una macro-causa, o meglio un fattore scatenante, che a nostro avviso può essere l’incipit che ha dato via a tutte le cause sopra descritte. Logicamente c’è chi al San Paolo non ci va più perché fa schifo, chi per non dare soldi ad ADL, chi perché di questi tempi i soldi sono sempre più scarsi e si deve fare una scelta: o la pizza con la ragazza il sabato sera o il San Paolo il giorno dopo con gli amici.

Ma sono tutti fattori che c’erano anche lo scorso anno, e anche l’anno prima. Il San Paolo sono quasi 30 anni, da quando ad Italia ‘90 decisero di rovinare uno dei più bei impianti della penisola in nome delle speculazioni , che è un cesso. Così come gli strascichi tra una parte del tifo e De Laurentiis sono una costante da diverse stagioni. E parliamoci chiaramente: quanti di noi, negli anni della B hanno rinunciato al sabato sera per andare al San Paolo?

E allora perché tutti questi “problemi”, tutti questi motivi per non andare allo stadio, sono usciti fuori solo adesso? A nostro avviso perché, forse nella prima volta della storia azzurra, manca il “sogno”, l’emozione. Attenzione, non stiamo parlando per forza di Scudetto. Il San Paolo faceva 60mila spettatori anche in C e B. Stiamo parlando di un qualcosa che possa coinvolgere emotivamente il pubblico, lo possa rendere irrazionale. Anche una lotta salvezza lo è, anche una qualificazione in Europa League lo è. Una cavalcata, un obiettivo, un traguardo. Qualcosa che ti faccia dire: noi sugli spalti, uno in panchina e undici in campo. Una sola cosa! Raggiungiamo questo obiettivo! E ce lo faccia dire in modo irrazionale, senza pensarci.

Ecco, irrazionale. Il tifoso di calcio è irrazionale. Deve essere trattato come una persona irrazionale, deve essere stimolato nel suo lato “da bambino”. L’anno scorso c’era il “sogno nel cuore”, quest’anno la certezza che questo sogno non esiste, che tanto alla fine o secondi o quarti cambia poco. Il tifoso è così, ha bisogno di una storia che lo accompagni, ha bisogno di sentirsi parte di una narrazione collettiva. E, ripeto, poco importa se questa narrazione sia la Champions o la salvezza. Ne va della sua “salute mentale” da tifoso.

De Laurentiis invece è riuscito nell’impresa di azzerare questo lato emozionale del tifoso, di rendere apatica una piazza come quella azzurra. A furia di trattare i tifosi come semplici clienti e non come “investitori emozionali” ha finito per farli davvero diventare clienti. E così lo stadio, che era uno degli ultimi luoghi dove l’irrazionalità del tifoso era coccolata, è diventato come un qualsiasi supermercato, dove tu compri quello che, secondo il tuo rapporto qualità-prezzo, è più conveniente.

Una piazza calda come Napoli ha bisogno di sogni prima che di trofei. Ha bisogno di gente come Maradona e Sarri, gente che prima di costruire calcio aveva costruito una storia nella quale il napoletano potesse identificarsi. E invece De Laurentiis ha fatto si che tutta la componente emozionale passasse in secondo piano con una strategia comunicativa volta solo a far passare lui come il “grande imprenditore” che sa fare impresa dove gli altri hanno fallito.

Il tifoso vuole la rimonta al 90’, la maglia sudata, il giro sotto la Curva. Di conti in ordine e plusvalenze non se ne fa nulla. Anzi, se tu continui ad inculcare al tifoso che la plusvalenza è più importante del dribbling a centrocampo, questi smette di essere tifoso e diventa cliente.

E il cliente non è irrazionale, tutt’altro. E’ estremamente razionale: valuta costi e benefici. Vale la pena spendere soldi per andare allo stadio? Vale la pena affrontare il traffico della tangenziale e i parcheggiatori abusivi. Vale la pena assistere ad un copione dove, nel migliore dei casi, possiamo essere solo i “primi dei perdenti”? Vale la pena non uscire con gli amici per andare allo stadio? Non andare a ballare perché i soldi me li spendo per la Curva?

Cosa è meglio: prendere freddo su di una gradinata, con un panino portato da casa, con una pessima visuale o stare a casa, ordinare una pizza a domicilio e godersi le immagini in 4K Full HD? Pensateci, prima da tifosi e poi da clienti. Da tifoso cosa scegliete? da cliente cosa scegliete? Datevi una risposta. Adesso finalmente potete rispondere anche alla domanda: perché il San Paolo è deserto?

  • i dirigenti sono tenuti volontariamente fuori dal discorso perchè “In una squadra di calcio c’è una Santa Trinità: i giocatori, il tecnico e i tifosi. I dirigenti non c’entrano. Loro firmano solo gli assegni”, cit. di un signore che a Liverpool ha vinto abbastanza da poter avere voce in capitolo

Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio

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