E’ la città di 1 o 90, siamo abituati, Napoli è fatta di esagerazioni, contraddizioni, vive di sbalzi d’umore, poi s’aggiunge il calcio nell’era dei social che esprime un fenomeno tutto suo: si sposta il dibattito sul “metafisico”, in un eterno scontro d’opinioni come se le indicazioni del campo fossero l’ultimo dettaglio. Il Napoli non perdeva due partite consecutive da due anni e mezzo, in casa addirittura da sette anni, nel girone di ritorno ha vinto solo cinque partite, senza quanto fatto nel girone d’andata sarebbe sesto. Guai, però, a disturbare il manovratore, c’è l’anima conservatrice che rinfaccia Paestum, i palloni, Naldi, Corbelli, invita la gente a cercarsi un altro presidente. Partiamo da un presupposto: chi utilizza l’aggettivo fallimentare al cospetto di questa stagione (non merita neanche di essere considerato chi lo diceva rispetto a quella scorsa) è fuori dal mondo. Il Napoli è un’azienda che è ad un passo dal portare a casa l’obiettivo primario: qualificarsi in Champions League per la quarta stagione consecutiva. Se, però, si continua a considerare solo il punto di vista aziendale, s’alimenta lo scollamento tra la società e la città, la perdita d’empatia che, invece, nei tre anni del sarrismo era arrivata a livelli altissimi. L’azienda Napoli ha bisogno dei suoi tifosi, vive di passione, emozioni, Ancelotti ha preso in mano un gruppo che ha vinto molto poco ma che ha il merito di aver portato il livello emotivo del popolo azzurro ai livelli più alti dopo l’era Maradona. E’ fuori dal mondo sia chi parla di stagione fallimentare che quelli che non solo non notano che sia un’annata deludente ma addirittura la esaltano esponendo la banalità dell’anno di transizione che lo stesso Ancelotti ha più volte contraddetto. “Non siamo soddisfatti della seconda parte della stagione, mancano attenzione e stimoli sia in fase difensiva che offensiva”, ha tuonato Ancelotti dopo la sconfitta contro l’Atalanta. Senza attenzione nel calcio si regredisce e il Napoli, infatti, è in crisi di personalità dalla sconfitta interna contro la Juventus. Fino a dicembre la stagione del Napoli era ottima, ad Anfield gli azzurri hanno smarrito il “sogno nel cuore” che aveva alimentato il loro percorso. Ancelotti ci aveva messo del suo, portando la squadra in un’identità diversa, superando il sarrismo e facendo vedere un buon calcio.
Il gruppo sembrava in crescita nella lettura delle situazioni, nel passaggio da un calcio schematico che si esaltava nella ripetizione dei meccanismi ad uno posizionale, dove ogni giocatore riusciva a cimentarsi in più posizioni, abbandonando la definizione più stringente di ruolo. A dicembre un’altra mazzata, a Milano contro l’Inter il Napoli perde la seconda partita-chiave della stagione e si spegne anche la sensazione di competitività che poteva acquisire il campionato dopo il pareggio della Juventus a Bergamo. Arrivano poi gli errori di presunzione: senza gli introiti della Champions, con l’Europa League da provare a vincere e il campionato da onorare, si pensa di poter perdere Hamsik, Rog e Albiol senza sostituirli. Fu Ancelotti a caldeggiare la partenza di Hamsik, suggerendo a De Laurentiis di cogliere l’occasione di mercato con la convinzione che la coppia Allan-Fabian Ruiz con Zielinski e Insigne come alternativa a sinistra (c’erano poi Verdi e Younes) potesse essere sufficiente per affrontare il campionato e l’Europa League. Senza Hamsik, emergono i limiti di Allan nell’impostazione del gioco, nè Fabian Ruiz nè Zielinski hanno le caratteristiche del play. Il Napoli ha retto per qualche partita, esponendo i consueti limiti in fase offensiva sottolineati più volte dai tempi di Belgrado ma alle prime difficoltà si è sgretolato. Senza Albiol e Hamsik il Napoli ha perso capacità nella costruzione del gioco e a Londra, nella partita più importante della seconda parte della stagione, gli azzurri sono venuti meno proprio nell’impostazione della manovra.
La partenza dello slovacco, oltre alla vicenda Allan, ha indebolito uno spogliatoio già particolare, colpito dal virus dei 91 punti senza arrivare alla vittoria. Dopo la sconfitta contro la Juventus, il Napoli si è smarrito, ha perso l’abitudine a tenere alta la concentrazione e nel calcio non si può mai staccare la spina, così nasce l’ultimo ciclo di risultati: in sei partite una sola vittoria contro il Chievo Verona retrocesso con largo anticipo, in mezzo l’eliminazione rimediata dall’Arsenal che ha rappresentato lo shock definitivo.
Ciro Troise
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