È inutile girarci intorno, il Napoli è in crisi. Lo dicono i numeri: ha diciassette punti in meno rispetto all’anno scorso, è fuori dalla zona Champions, ha solo 24 punti dopo quindici giornate (tre in più rispetto al dato di Ancelotti quando fu esonerato allo stesso punto della stagione 2019-20), da ottobre 2016 non perdeva tre gare consecutive. È una squadra che ha un rendimento povero, si sgretola quando s’alza il livello della contesa, contro le prime dieci realtà della classifica ha collezionato solo cinque dei ventiquattro punti complessivi: la vittoria di Bergamo e i pareggi contro Bologna e Milan.
In casa l’andamento è raccapricciante, il Napoli ha vinto solo due gare contro Sassuolo e Udinese, l’ultimo successo risale al 27 settembre. Gli azzurri hanno perso in tutta la scorsa stagione solo sette gare di cui una ai rigori contro la Cremonese in Coppa Italia, a metà dicembre il Napoli è già stato sconfitto nello stesso numero di partite dell’intera annata scorsa.
Va fatta un’analisi, raccogliendo i segnali di crescita e i tanti aspetti che, invece, non vanno per il verso giusto ma il punto di partenza è sempre lo stesso: il Napoli è una squadra convalescente, che ha bisogno della ricostruzione.
In inverno non si può rimediare a tutto ciò che si è fatto in estate, quando si sbaglia completamente l’impostazione di un’annata poi si corre il rischio di rincorrere le situazioni.
Il progetto tecnico del Napoli della scorsa stagione è stato distrutto, i responsabili di quest’operazione sono in primis il presidente De Laurentiis, Andrea Chiavelli, Maurizio Micheli, il caposcouting a cui si è affidato il patron dopo la partenza di Giuntoli, e Rudi Garcia.
Il Napoli ha problemi nelle letture difensive perché non può più contare sull’esplosività di Kim che accorciava la squadra, conquistava le seconde palle, aveva la gamba per recuperare campo e spesso metteva a posto altri errori. Non è solo la partenza del coreano, sostituito con il brasiliano Natan, che è un buon giocatore ma non ha certamente lo spessore per sostituire Kim, a mettere in crisi l’assetto difensivo ma anche lo scarso lavoro compiuto durante la preparazione sui movimenti della linea difensiva.
Il problema principale è che la squadra non è brillante sotto il profilo atletico, dopo la sequenza d’infortuni a Castel Di Sangro Garcia e il suo staff hanno ridotto fortemente i volumi di lavoro e ora gli azzurri hanno poca gamba, tendono a spegnersi durante la partita. Uno dei pochi segnali da portare a casa da Torino è che è bastato qualche allenamento in più con il preparatore Pondrelli per rivedere un gruppo che ha la forza di crederci fino all’ultimo secondo.
Mazzarri ha trovato le macerie della presunzione estiva in cui l’uomo solo al comando si è sentito invincibile sfasciando il sistema scudetto. Ha sostituito Giuntoli con Micheli (Meluso è arrivato soltanto il 13 luglio, ad un mese circa dall’annuncio di Garcia), che non ha mai lavorato da direttore sportivo affidandogli le scelte programmatiche, Spalletti con Garcia dopo i tanti rifiuti incassati, Sinatti con Rongoni, Kim con Natan, Lozano con Lindstrom che non è un esterno offensivo e sul mercato non si è risolto il tema della dipendenza dal centrocampo Anguissa-Lobotka-Zielinski. Mancano alternative sia ad Anguissa che a Lobotka e, vista la partenza del centrocampista camerunense per la Coppa d’Africa a gennaio, il Napoli sta ricercando un profilo con quelle caratteristiche.
Mazzarri finora ha ricostruito una traccia condivisa, ha riportato i principi di gioco di Spalletti nel background del gruppo che a tratti riesce a metterli in campo ma non basta. È una squadra che crea poco, fa fatica a sfruttare in fase di costruzione del gioco tutto il bagaglio delle sue conoscenze, tende ad abbassare i ritmi in certi momenti delle gare come quando ha trascorso gran parte del secondo tempo nella metà campo della Juventus producendo solo il gol in fuorigioco di Osimhen.
L’aspetto più inquietante riguarda la fase di non possesso, il Napoli anche con Mazzarri ha subito nove gol in quattro partite, prima della gara contro la Juventus aveva la nona difesa del campionato. Contro i bianconeri ha subito il settimo gol di testa (nella scorsa stagione furono solo quattro), l’ennesimo a difesa schierata da cross laterale, molto spesso da destra. Basta rispolverare la memoria, ricordare le reti di Giroud, quella di Lookman o di Bellingham anche se in quel caso Alaba lo serve con un lancio dalle retrovie.
Il ciclo di ferro è terminato, ora il Napoli deve ripartire dalla qualificazione contro il Braga, spezzare la negatività con tre gare interne tra Champions, campionato e Coppa Italia contro Braga, Cagliari e Frosinone, avversari di livello inferiore agli azzurri.
Ciro Troise
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