Dopo le sconfitte nelle amichevoli, citando Kant, avevamo parlato del conflitto di Ancelotti tra la ragion pratica, la strada più semplice per arrivare alla vittoria e la ragion pura, la costruzione di un Napoli che risponda alle idee di Ancelotti, con la qualità d’imporre il proprio gioco e di difendersi in maniera brillante senza degli automatismi imparati a memoria ma crescendo nella capacità di leggere le situazioni. Il dilemma che colpisce Ancelotti dopo la disfatta di Genova non è più solo quello kantiano ma ha sfumature diverse: la vera domanda è costruire il suo Napoli o muoversi sulla falsariga di quello di Sarri. Le certezze acquisite in tre anni di lavoro su meccanismi molto rigidi sia in fase difensiva che in quella offensiva sono una risorsa ma anche un muro così solido che si fa fatica a mettere in discussione. Ancelotti non può restare ancorato all’idea di calcio proposta da Sarri anche perché la filosofia dell’attuale allenatore del Chelsea era così incastrata in certi criteri d’applicazione che metterla in campo senza Jorginho e Reina sarebbe ancora più complicato. La prima modifica sostanziale contro la Sampdoria di Giampaolo e dei principi sarriani è andata malissimo, Diawara nel ruolo di regista ha sofferto la pressione di Saponara, la costruzione offensiva senza l’asse Insigne-Callejon è stata molto più arida. Gli episodi hanno un loro peso considerevole, la partita poteva cambiare con l’occasione da gol non sfruttata da Insigne e va nella direzione dell’inerzia doriana con la rete di Defrel che capitalizza una ripartenza nata da una palla persa in maniera avventata da Zielinski sugli sviluppi di un corner a favore. Una parte del gruppo ha palesato difficoltà nel limbo, nell’ibrido tra il “vecchio” e il “nuovo”, Insigne non ha più lo sviluppo di gioco in triangoli che gli consentiva di conquistare campo, la linea difensiva fa fatica a stringersi, tutta la squadra soffre nei tempi dei movimenti. La Sampdoria faceva uscire gli azzurri con il palleggio veloce e poi li colpiva con le verticalizzazioni, il Napoli così ha sbandato più volte soprattutto nel primo tempo alla ricerca di un’identità. L’emergenza è la fase difensiva, sei gol subiti in tre partite sono troppi per una realtà che punta a stare ai vertici del calcio italiano. Il Napoli subisce gol in più modi, soffre gli inserimenti tra le linee, fa fatica a difendere in area di rigore, perde i duelli, lascia troppo spazio agli avversari, soffre a stringersi e non funziona la copertura sulle corsie laterali, un’immagine esemplificativa è la libertà concessa a Bereszynski in occasione dei cross che portano al secondo e al terzo gol della Sampdoria. Il Napoli assume un’identità più chiara quando si svincola dal sistema di gioco d’impronta sarriana, passando dal 4-3-3 senza il lavoro di Jorginho in entrambe le fasi al 4-4-2 acquisendo forza d’urto sulle corsie laterali con gli esterni alti e non con i terzini che non sono abituati a fare con frequenza le sovrapposizioni e soprattutto con la coppia d’attacco Mertens-Milik. L’attaccante belga stava riuscendo ad incidere anche a Marassi ma ha fallito due occasioni a pochi passi da Audero, la prima avrebbe riaperto la partita, portando il Napoli sul 2-1 al 55’, a più di mezz’ora dal termine della gara. Tocca ad Ancelotti scegliere tra il riformismo moderato, modificando gradualmente l’eredità lasciata da Sarri, o spingere sul piede dell’acceleratore, scuotere lo spogliatoio costruendo il suo Napoli. La sosta può essere utile a schiarire le idee anche attraverso il confronto con la squadra.
Ciro Troise
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