Il Napoli può ridimensionare i suoi problemi prendendosela con la sfortuna, i rigori non dati, i pali, le traverse oppure ammetterlo, studiarlo, comprenderlo a pieno e affrontarlo non come una sindrome passeggera ma un virus profondo. Il Napoli non ha l’influenza, un malanno di stagione ma una malattia che deve curare per raddrizzare la propria annata. Portare a casa domani sera la qualificazione agli ottavi di finale di Champions con due turni d’anticipo è importante, può dare un’iniezione d’entusiasmo ma il successo di Salisburgo dimostra che una rondine non fa primavera. La vittoria della Red Bull Arena sembrava un perfetto “sliding doors”: il ritorno al successo in trasferta in Champions League dopo tre anni, l’abbraccio tra Insigne e Ancelotti, la capacità di vincere in Austria nonostante l’emergenza in difesa. Non è andata così, il Napoli dopo quella gara ha espresso due prestazioni mediocri contro Roma e Spal e un’ottima partita contro l’Atalanta in cui non è arrivata la vittoria.
IL VIRUS TATTICO PARTE DALLA FASE DIFENSIVA
Perché il Napoli non ha colto l’occasione di svoltare dopo la vittoria di Salisburgo? È afflitto da un virus tattico e mentale, le emozioni di un successo convincente possono dare energia per metterlo da parte ma non lo risolvono. Sono 15 i gol subiti in campionato, non accadeva da dieci anni, dalla stagione 2009-10, quando alla settima giornata Mazzarri subentrò a Donadoni. Il Napoli è poco determinato in fase difensiva, le distanze sono ampie, le coperture preventive non funzionano in modo brillante, l’idea che la coppia centrale debba spezzare la linea accorciando sull’avversario con la gamba poi per scappare dietro si sta rivelando eccessivamente ambiziosa, basta ricordare gli errori di Koulibaly nei due gol subiti dall’Atalanta. L’infortunio di Allan ha riaperto i difetti che si erano visti ad inizio stagione, ciò significa che l’equilibrio è fragile. Senza difendersi bene, non si può neanche attaccare bene con continuità. È questa la parola-chiave citata anche da Davide Ancelotti nel post-partita. Le stagioni cambiano in base alla continuità di prestazioni e risultati, se il Napoli l’ha persa, finora c’è da chiedersi qual è il valore aggiunto che lo spessore di Carlo Ancelotti ha dato a questa squadra? Si è visto a tratti solo in Champions sia nella scorsa che in questa stagione, nelle grandi notti contro Liverpool, Paris Saint Germain, Salisburgo, neanche in tutte le gare europee come dimostrano Belgrado, Londra contro l’Arsenal e Genk.
UN GRANDE PROBLEMA DI TESTA
L’aspetto più deludente riguarda la testa, dove doveva avvenire il salto di qualità targato Ancelotti. Il Napoli s’abbatte troppo velocemente, l’ha fatto dopo la sconfitta di Liverpool nella scorsa stagione, non sa reggere il peso delle “ingiustizie subite” che, ahimè, nel calcio come in tutti i settori della vita capitano. Ve la ricordate la squadra che a Firenze dopo i “misfatti” dell’arbitraggio di Orsato in Inter-Juventus crolla inesorabilmente concedendo così anche il “finale in scioltezza” ai bianconeri? È la stessa anima che a Milano, nella notte del razzismo subito da Koulibaly, regala prima la superiorità numerica all’avversario, poi fallisce un gol a porta vuota e perde la partita. Contro l’Atalanta la storia si è ripetuta, Giacomelli non assegna un rigore netto su Llorente, si regala un gol agli avversari che colpiscono con una verticalizzazione scolastica a palla scoperta e a difesa schierata. “Non era facile scendere in campo dopo quello che è successo mercoledì”, l’approccio “poco presente” all’Olimpico, fino al rigore parato da Meret, per ammissione di capitan Insigne è stato condizionato ancora da quanto accaduto mercoledì. “Ci siamo abbattuti per non aver segnato nei nostri buoni venti minuti”, così Davide Ancelotti ha spiegato l’impatto deludente con il secondo tempo. Non vanno separati i due aspetti, la personalità si coltiva anche con l’organizzazione tattica facendo in modo che questo gruppo lavori sempre da squadra, non soltanto negli spezzoni di partita in cui si ricorda di avere qualità. Non c’è più tempo da perdere, il Napoli non aveva una posizione così bassa in classifica dopo undici giornate da dodici anni. Il ritiro può servire al confronto schietto e sincero, va trovata la strada per guarire dalla malattia sia nei sintomi tattici che mentali.
Ciro Troise
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