Che il pericolo di non fare neanche i play-out fosse concreto, ve lo diciamo da tempo. Non ci voleva chissà quale scienziato, basta immergersi nel rendimento di una squadra che ha chiuso con un solo punto nelle ultime sette partite. È stata una lenta agonia, con la società che, magari inebriata anche dall’euforia per la prima squadra, ha lasciato che il disastro si consumasse senza muovere un dito. Se l’inerzia è negativa e la fai scorrere, non può esserci un epilogo diverso. Mantenere il campionato Primavera 1 significa tenere il Napoli in un contesto giovanile importante, far crescere i ragazzi ‘2005 e ‘2006 a livelli adeguati, contro avversari che stimolano a migliorarsi. È utile per l’immagine della società, il lavoro dell’allenatore della prima squadra che, se ha bisogno di ragazzi per qualche seduta, può contare su giovani abituati a competere a ritmi un po’ più alti rispetto al campionato Primavera 2.
Ci sono due tipi di analisi: una strutturale e una congiunturale e i due piani si mescolano in una miscela esplosiva. Il Napoli nel settore giovanile investe molto meno di tutte le altre big, non lo considera una risorsa fondamentale. Non può mai essere una scelta che ci piace ma ne prendiamo atto. Complessivamente il Napoli impegna un paio di milioni di euro, basta pensare che l’Atalanta ne spende sette e ha rischiato di fare il play-out.
Non ha torto Frustalupi quando dice che per fare il campionato Primavera 1 bisogna essere attrezzati ma non si può ridurre l’analisi solo su quest’aspetto. Da quando nel campionato Primavera 1 sono state introdotte le promozioni e le retrocessioni, si è visto il netto divario tra le realtà che investono in strutture, scouting, allenatori.
Lo dice lo storico di questi tornei: dalla stagione 2017-18 il Napoli è già retrocesso due volte, in un’occasione si è salvato all’ultima giornata avvalendosi di Ounas, in un’altra al play-out contro il Genoa. C’è un problema strutturale: l’anima delle Primavere, costruita sin dall’attività di base, fornisce anche dei buoni fruttil. Basta pensare ad Ambrosino, Cioffi, Vergara e D’Agostino ma poi bisogna essere competitivi sul terreno dello scouting.
Il lavoro compiuto dal vivaio guidato da Gianluca Grava ha dato qualche risorsa anche a questo gruppo: Iaccarino, Spavone, Gioielli, Barba, Marchisano. Il meglio viene dall’attività di base mentre ha dato molto poco chi è arrivato come rinforzo.
È miopia rendersi conto che si fa fatica a far gol (terzultimo attacco del torneo) e a gennaio non portare a casa un rinforzo adeguato per l’attacco, non la seconda punta Koffi che non giocava alla Roma. Avrebbe dovuto preoccuparsi la stessa società ma torniamo al concetto precedente: non è una priorità.
Paradossalmente il Napoli campione d’Italia, in Youth League grazie ai risultati della prima squadra, e in Primavera 2 è una contraddizione che racconta benissimo la gestione De Laurentiis.
Non è solo colpa degli investimenti, la Primavera azzurra giocava senza divertirsi
C’è poi l’analisi congiunturale: il Napoli ha fatto il contrario di quello che si fa in un settore giovanile, ha agito inseguendo un risultato che poi non ha neanche portato a casa. Chi non dispone di investimenti adeguati deve puntare sul lavoro, sul gioco, sulla capacità di far crescere anche i ‘2005 in vista della stagione successiva. La direzione tecnica Grillo-Frustalupi, che con Idasiak, Vergara, Ambrosino, Cioffi, D’Agostino, Coli Saco, giocatori che hanno confermato le loro qualità altrove, ha rischiato di portare la Primavera alla retrocessione già nella scorsa stagione, ha portato il Napoli in una direzione che non ha funzionato. Ci sono dati strutturali che confermano il disastro: una squadra che segna poco e ha perso 13 punti nell’ultimo quarto d’ora più recupero portandone a casa soltanto due fornisce una fotografia da retrocessione.
È colpa soltanto degli investimenti? Si poteva fare di più? Intervenire in tempo su un gruppo che in campo non si divertiva, aveva in testa solo di conservare il punto o l’eventuale gol di vantaggio realizzato. È vero che le promozioni e le retrocessioni inevitabilmente condizionano l’approccio ma si tratta sempre di settore giovanile, bisogna puntare al risultato attraverso la qualità del gioco, la leggerezza nella proposta. È stato, invece, tutto pesante: i metodi di lavoro, la gestione di certi giocatori come Giannini che va in Nazionale e in Primavera fa la riserva quasi sempre, la mancata crescita di Pesce, il “vorrei ma non posso” di Alastuey, l’insufficiente coinvolgimento dei ‘2005.
Non c’è nulla da salvare, è stato un disastro annunciato, in maniera responsabile e costruttiva l’abbiamo raccontato ma l’inerzia scorreva e nessuno ha salvato la barca. Ci ha provato anche la gente rispondendo all’appello degli ultras della Curva B ma Napoli-Inter è il replay di Napoli-Verona di un anno fa che condannò gli azzurrini al play-out. C’è una mentalità da rimuovere, approfittare del baratro per ripartire con altri principi di lavoro. A diciotto-diciannove anni bisogna divertirsi quando si gioca, che sia il mantra della risalita dal campionato Primavera 2. Tocca a Gianluca Grava mettere le mani sul manubrio e pedalare in una direzione completamente diversa, nessun altro avrebbe la forza di farlo.
Ciro Troise
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