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Il calcio sta morendo? La soluzione è sotto gli occhi di tutti: far tornare il calcio ad essere il calcio

L'esultanza di Osimhen ci ricorda una semplice verità: cosa è il calcio e che per salvare il calcio basta tornare a fare calcio

Se questo articolo fosse stato un servizio televisivo l’apertura l’avrei fatta montando in sequenza tutte le dichiarazioni dei padroni del calcio negli ultimi mesi. Le grida di allarme dei vari Perez, Agnelli, non ultimo De Laurentiis, sulla ormai inevitabile morte del calcio mondiale. Sembrano tutti recitare lo stesso copione, le stesse parole, la stessa enfasi preoccupata per il fatto che la gallina dalla uova d’oro sembra non aver più voglio di fare le uova. Nemmeno quelle normali.

E così, lorsignori, nel più classico stereotipo del mediocre venditore di corsi fuffa, prima espongono il problema e poi cercano di darti in pasto la soluzione. La loro soluzione, naturalmente! E, in forme più o meno nette, la soluzione per lorsignori, re e regine, conti e contesse del pallone è solo una: un calcio ancora più d’élite.

Il ragionamento potrebbe persino avere qualche base razionale, se non fosse che un’ulteriore “elitarizzazione” del calcio significherebbe tentare di risolvere il problema attraverso le stesse cause che hanno generato il problema. Non è una tendenza solo del calcio, intendiamoci. Anche nella politica, nel lavoro, nell’economia, assistiamo ogni giorni a grida di allarme. A venditori di fuffa che ci avvertono che il treno corre verso il burrone. Salvo poi proporre come unica soluzione percorribile l’accelerare verso il burrone.

Parliamoci chiaro: la soluzione, almeno per il calcio, è estremamente semplice. Ed è sotto gli occhi di tutti: tornare a fare calcio. Tornare alla dimensione ludico-sportiva-identitaria che in questi anni è stata ripetutamente sacrificata sull’altare della dimensione economico-finanziaria.

Il Diego Armando Maradona negli ultimi tempi è teatro di un esperimento orwelliano. Quando ancora si chiamava San Paolo, il fu casa di una delle tifoserie più calde d’Europa e forse una delle pochissime nel vecchio continente ad essere estremamente identitaria, è iniziato un “ammodernamento forzato” da parte della proprietà. Non nella struttura, sia mai, ma nel tifo.

Che il sogno bagnato di De Laurentiis sia quello di un campionato all’americana e uno stadio teatro non è un mistero. Al netto delle sparate a cui non sono mai seguiti fatti concreti (i terreni per lo stadio, la palazzina per il settore giovanile, i 200 milioni sul banco, ecc…) la “politica interna” e la “politica estera” azzurra è sempre stata “settata” su questi due capisaldi: far partecipare il Napoli ad un torneo d’élite (salvo poi rendersi conto, all’annuncio della Superlega, di essere stati “friendzonati” da Agnelli) e rendere il fu San Paolo, oggi Maradona, un teatro. Senza peraltro né avere un struttura societaria da grande club e nemmeno uno stadio moderno da teatro.

Già prima della pandemia, quindi il Covid-19 in questo caso non può essere il solito capro espiatorio per giustificare il tutto, De Laurentiis aveva dichiarato la sua guerra santa al tifo popolare. Lo stadio ristrutturato dalla Regione per le Universiadi è stato il casus belli di un conflitto che sotto traccia sta imperversando in tutto il calcio europeo (forse Germania esclusa) da decenni, ma che a Napoli, considerando anche l’eccessiva colonizzazione mentale e il “facimmeschifismo” di parte della popolazione, pronta a venerare qualsiasi forestiero solo perché “noi non sappiamo fare nulla”, ha trovato terreno particolarmente fertile.

Dai prezzi esorbitanti anche per match non di cartello fino al regolamento d’uso che nemmeno nel Cile di Pinochet. Multe che fioccano anche per un semplice scambio di posti e che tengono impegnate risorse pubbliche che potrebbero essere destinate ad altro. Il Covid ha poi esasperato la situazione. La riduzione dei posti ha implicitamente, secondo una logica liberista per cui le storture del “mercato” vanno sempre scaricate sull’ultima ruota del carro, fornito giustificazione morale ai prezzi maggiorati: per mantenere lo stesso incasso a capienza ridotta aumento il prezzo dei biglietti.

E nemmeno dinanzi alla prospettiva di avere stadi ancora più semivuoti si è fatta marcia indietro. L’autobus corre verso il burrone. E la società accelera. Il Covid-19, in una città dalla memoria cortissima (e basta vedere le liste alle prossime amministrative), è la scusa perfetta per rivangare il famigerato “regolamento d’uso” che con tanta fatica era stato messo da parte a gennaio 2020. Così lo stadio si “teatrizza” e la proprietà può continuare nella sua agenda politica di “de-popolarizzare” il calcio a Napoli.

Una tendenza che, chiariamo, non è solo di De Laurentiis. Ma che solo a Napoli trova alleati tra i tifosi (soprattutto quelli che poi neanche ci vanno allo stadio) e tra la stampa. Così mentre il Milan fa marcia indietro sul costo dei biglietti Champions a Napoli, una parte della tifoseria, recita a memoria la filastrocca di Naldi&Corbelli.

Una parte della tifoseria che diventa così il miglior alleato per uno dei principali alfieri in questo momento dell’imborghesimento ulteriore del pallone italiano.

Eppure, a giudicare dai discorsi e dalle belle parole, il calcio loro lo vogliono salvare. Ma guai ad ammettere che il calcio non si salva con 10 slot orari per 10 partite. Si salva con Osimhen sotto il settore ospiti a prendersi un meritato abbraccio. O con Mourinho che corre come un’ossesso. Oppure ancora con un tizio che, spalle al campo, fa partire un coro e un muro compatto lo segue. Perché, ammettiamolo una volta per tutte, anche quello fa parte del calcio.

Il marketing, che è l’arte di vendere il ghiaccio agli eschimesi, usa un concetto molto semplice quando si vuole vendere qualcosa: le buyer persona. Sono in pratica delle persone fittizie che incarnano determinate caratteristiche comportamentali e di reddito, di ideologia, di razza, di sesso, di religione, ecc…

Ogni volta che si vuole vendere un prodotto, e consideriamo il calcio come un prodotto, ci si interroga a quali buyer persona vendere. Quale è il tuo target? Ora alcune buyer persona sono il paradiso dei venditori, perché solo alto-spendenti e estremamente acritici. In linea generale le donne spendono di più e in maniera più acritica rispetto agli uomini, i giovani sono più propensi alla novità, i sigle tendono a risparmiare meno, ecc…

Tutto il calcio degli ultimi 30 anni è stato “settato” per vendere il prodotto a buyer persona sempre più alto spendenti e meno esigenti. D’altronde quale venditore è così stupido da impegnarsi 100 per vendere un prodotto ad uno che spende massimo 10, quando esiste qualcuno che spenderebbe 100 anche per un prodotto di qualità inferiore ma con determinate caratteristiche formali?

Il problema è che nel calcio subentra un altro fattore. Il “consumatore” non sta solo comprando un prodotto ci sta investendo emotivamente. Anzi, è proprio quell’investimento emotivo che crea la differenza tra il tifoso e lo spettatore.

Chi è investitore emotivo, spenderà pure meno e sarà pure più esigente, ma è fidelizzato. È un qualcuno “sicuro”. E proprio questa fidelizzazione ha fatto si che le società di calcio ritenessero erroneamente che quelle buyer persona erano sicure, non serviva fare altri sforzi. Potevano concentrarsi nel vendere il pallone agli spettatori.

Problema nel problema: il ricambio generazionale. I tifosi invecchiano e non vengono ricambiati. Perché le nuove leve non hanno la possibilità di diventare tifosi. Le società concedono loro solo la possibilità di diventare spettatori. Un ragazzo di 15-16 anni, età media in cui si inizia ad entrare allo stadio in maniera autonoma, ad oggi non ha né possibilità né interesse a di diventare tifoso.

Per un fatto economico: i biglietti costano, i ragazzi non hanno una disponibilità economica. In un paese dove i 35enni si barcamenano tra un lavoretto precario (spesso a nero) e l’altro, come si può pensare che un 16enne abbia 50 euro da spendere per Napoli-Juventus in curva se poi tra l’altro in quel settore non c’è neanche l’adrenalina del tifo o anche 25 per il Cagliari? E pure se ce l’ha, quante possibilità ci sono che tutti i ragazzi della sua comitiva abbiamo la stessa disponibilità?

Così il ragazzo centellina le presenze, va solo ai big match, alimentando un tipo di mentalità per cui ci sono partite e partite, e non, come penserebbe il vero tifoso, che ogni partita è La Partita.

Non sottovalutiamo poi il fattore tempo. Per rincorrere lo spettatore distratto, la buyer persona da divano, si è spezzettato il calcio. Ma così facendo lo si è privato di tutto il contorno. Il tifoso ha bisogno di una routine di cui i 90’ sono solo la portata principale. C’è un prima e un dopo che contribuisce a far innamorare del calcio. L’incontro con gli amici ai tornelli, il vedere la partita insieme, la pizza e birra dopo la partita, ecc… Tutte cose che, in un calcio e in una società mordi e fuggi, sono impossibili.

La miope élite pallonara, e su questo sono in buonissima compagnia, si è illusa di poter costruire un ponte lunghissimo che permettesse loro di raggiungere tutte quelle isole di buyer persona che non sono tifosi di calcio. Ma si è dimenticata di fare manutenzione alle fondamenta. Così il ponte sta crollando. Magari i magnati del calcio riusciranno a raggiungere la tanto agognata isola degli spettatori occasionali, quelli a-critici e alto-spendenti, ma si accorgeranno di aver dimenticato il pallone sull’isola di partenza.

Il calcio non ha bisogno di astrusi regolamenti, di competizioni surrogato del Fut di Fifa, di mondiali ogni 6 mesi e di volantini pubblicitari ambulanti che corrono dietro ad un pallone. Il calcio ha bisogno di una sola cosa: tornare ad essere il calcio. In fondo, se per più di un secolo, ha funzionato così bene, ed ha iniziato a funzionare male quando si è cercato di cambiarlo in un determinato modo, perché continuare a cambiarlo? O l’obiettivo è davvero portare l’autobus in fondo al burrone?

A cura di Giancarlo Di Stadio

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I Am Naples Testata Giornalistica - aut. Tribunale di Napoli n. 33 del 30/03/2011 Editore: Francesco Cortese - Andrea Bozzo Direttore responsabile: Ciro Troise © 2021 IamNaples
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