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Il calcio italiano e il dibattito ipocrita di un imbuto che non funziona

Spalletti ha mandato l'Italia in overbooking di conoscenze ma è una speranza per il futuro. La missione è ringiovanire e ricostruire

“E lo Stato che fa, si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con grande dignità”, cantava De Andrè in Don Raffaè. Ascoltando il consueto dibattito dopo una sconfitta dolorosa dell’Italia, mi è venuta in mente questa canzone perché la dinamica è simile. Diventano tutti esperti di calcio giovanile, conoscitori dei metodi d’allenamento delle scuole calcio, profondi esperti delle pieghe del sistema. Dura tutto poco, finirà l’Europeo, il calciomercato magari regalerà qualche notizia stimolante e tutte queste domande spesso caratterizzate da risposte preconfezionate saranno rimandate alla prossima delusione nazionale.

La domanda legittima che ispira questi giorni è perché siamo campioni d’Europa Under 17 e Under 19, vicecampioni del mondo Under 20 e non riusciamo ad uscire dalla crisi profonda con la Nazionale maggiore tra Mondiali sfumati ed Europei chiusi con una sconfitta imbarazzante contro la Svizzera per atteggiamento e prestazione.

Il sistema calcio è un imbuto, nell’età della formazione riesce a sviluppare talento, poi, però, quando bisogna passare alla valorizzazione perde gran parte del lavoro svolto. L’abolizione del vincolo sportivo alimenterà il mercato con la legge del più forte, se i club non sono più tutelati nella formazione calcistica dei ragazzini rischiano di ridurre gli investimenti. È il via libera generale ai movimenti di procuratori e intermediari con i genitori per portar via dai club d’appartenenza i quattordicenni scovati e formati con tanta fatica dalle società, una scelta compiuta da chi probabilmente non conosce i meandri del calcio italiano. Servirebbero dei parametri per ostacolare questa pratica piuttosto che favorirla.

Perché nel meccanismo dell’imbuto la formazione si disperde? Il calcio italiano non riesce a trasformare le promesse in talenti, a tenere botta quando s’alza il livello. I motivi sono tanti: manca la palestra in cui affinare la formazione. La Lega Pro è sotto attacco, i club di serie A preferiscono la corsa allo straniero per motivi economici, costa nettamente meno in passato grazie al Decreto Crescita e poi in generale pesano le richieste esose dei club per i giocatori italiani.

Il campionato Primavera è diventato Under 20, quindi sarà ancora più netto il suo status di “parcheggio” confortevole piuttosto che lanciare i ragazzi nella mischia. Si cresce nelle difficoltà, a differenza degli altri Paesi un altro freno è la difficoltà ad andare all’estero che rappresenta, invece, un’occasione per crescere in contesti competitivi riducendo gli aspetti più tossici della pressione.

Non è un caso che il meglio che ha espresso il calcio italiano sia passato per l’estero: Donnarumma, Calafiori con l’esperienza al Basilea, Verratti e Jorginho nel suo periodo migliore. Poco più di un anno fa, l’Italia perdeva contro l’Uruguay la finale del Mondiale Under 20. Tra i sedici calciatori impegnati in quella gara, soltanto tre hanno disputato l’ultimo campionato di serie A: Lipani al Sassuolo, Prati al Cagliari e Baldanzi prima all’Empoli e poi alla Roma.

Casadei poi ha alternato la Championship con il Leicester e undici presenze al Chelsea in Premier League. Nell’Under 19 campione d’Europa lo scenario non cambia: Kayode alla Fiorentina, Vignato al Monza e Koleosho al Burnley in Premier League. Il calcio nella sfera globale si è livellato, sono pochi i giocatori di grandissimo talento che fanno la differenza. Il tratto comune è l’intensità, lo dimostra anche questo Europeo, e, quindi, spesso la sfida è costruire il contesto per valorizzare le caratteristiche dei calciatori per far venir fuori profili nuovi, da Nazionale.

Pensare, però, che l’Italia abbia disputato un Europeo così mediocre solo a causa dei limiti strutturali del sistema è fuorviante. La Nazionale ha fallito sul campo, non c’è stata la connessione giusta tra le idee del commissario tecnico e la squadra. Spalletti ha provato a ridurre il gap con le squadre da prima fascia riempiendo i giocatori di conoscenze tattiche, provando a costruire un’identità che li sapesse far esprimere meglio della somma del valore dei singoli. Ci è riuscito solo nella prima ora contro l’Albania, poi si è alzato il livello degli avversari e l’Italia si è smarrita perdendo qualità nel palleggio, nella costruzione, nella tenuta delle distanze in campo. Spalletti non è riuscito a trovare la connessione giusta con il gruppo squadra, l’esplorazione di diversi sistemi di gioco ha creato più un effetto confusione, l’azzeramento della curiosità piuttosto che favorire l’adattamento ad idee diverse. La Nazionale è andato in overbooking di conoscenze, non ha avuto la forza, la qualità e la personalità per venirne fuori. Spalletti, però, rappresenta solo una speranza per la Nazionale, ha bisogno di tempo per modellare l’Italia in relazione alle sue idee. È arrivato in pieno agosto con l’ansia di qualificarsi agli Europei senza i play-off, con sole dieci partite prima di andare in Germania. La missione è ringiovanire e ricostruire, l’Italia non può permettersi di non qualificarsi al Mondiale 2026 dopo aver saltato gli ultimi due.

 

Ciro Troise

 

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