In Italia la comunicazione calcistica è sempre all’insegna dello straordinario, a sentire gli allenatori si sprecano definizioni, da miracolo sportivo ad impresa, da cammino incredibile alla costruzione di un raccolto dove tutto sembra andare oltre l’ordinario, anche in squadre costruite per vincere come la Juventus. Non è un vizio solo italiano, basta ascoltare Guardiola, la semplicità di Ancelotti va in controtendenza e dopo l’ultima partita del 2018 c’è un pensiero che fa scalpore: “Siamo protagonisti di un buon percorso, nulla di straordinario, si può e si deve migliorare”. Gli allenatori ci hanno sempre spiegato che durante le conferenze stampa si mandano messaggi anche allo spogliatoio, in questo caso il contenuto traccia una strada nuova, alla squadra si comunica che non è stato fatto ancora nulla e che non bisogna accontentarsi in virtù del divario con la Juventus o con le altre realtà incrociate in Champions League. La semplicità di Ancelotti è la copertina che deve accompagnare il Napoli in questa fine d’anno, con l’orgoglio del 2018 delle emozioni e la consapevolezza che il 2019 debba essere l’anno del raccolto. Ancelotti proviene da una famiglia di contadini, sa bene che ci sono tre fasi: la semina, la cura e il raccolto. Come più volte ha anche pubblicamente ammesso, Ancelotti ha trovato un’ottima semina, del resto Sarri sta dimostrando il suo valore anche in Premier League con il Chelsea quarto, in piena corsa in un campionato complicato per andare in Champions e con altre tre competizioni dove può essere protagonista: Fa Cup, Coppa di Lega in cui è in semifinale ed Europa League. Benitez aveva fatto la rivoluzione, trasformando il Napoli che con le ripartenze aveva sfidato i top team nell’era Mazzarri a squadra con in mano il pallino del gioco, Sarri ha portato questa trasformazione nella forza di un calcio codificato, con meccanismi tattici acquisiti in maniera brillante sia in fase di non possesso che offensiva. I tre anni del sarrismo hanno portato tante individualità ad una crescita pazzesca, penso ad Allan, Koulibaly, Ghoulam, Mertens e Insigne. A questo lavoro poi ci sono le emozioni, che contano tantissimo nel calcio e nello sport, dove meritano onore anche quelli che ricevono la medaglia d’argento, soprattutto se chi ha trionfato ci è riuscito anche approfittando di errori arbitrali in certi momenti decisivi del campionato. Ricordare proviene dal latino, dal verbo recorder, traccia ciò che passa per il cuore e c’è una data che non va assolutamente dispersa nella narrazione superficiale della vittoria, una modalità che la storia del calcio ha già sconfitto più volte: penso alla grande Olanda o al Napoli di Vinicio. Il 22 aprile è la giornata che ogni tifoso del Napoli metterà al primo posto nel 2018 sportivo, l’incornata di Koulibaly rappresenta un pernacchio di eduardiana memoria all’idea che debba vincere sempre il più forte, talvolta può capitare che trionfi il più bravo e quella sera andò così. Non è bastato affinchè la favola andasse in porto ma le emozioni non vanno via, deve lasciare orgoglio nel bilancio di fine anno il ricordo della rabbia di chi due estati prima aveva speso 90 milioni per Higuain dando una manifestazione di dominio profondo a livello nazionale, una storia che si è ripetuta in modo ancora più radicale con l’acquisto di Cristiano Ronaldo. Analizzando ciò che è mancato nei dettagli, c’è sicuramente un gap relativo alla personalità, la cura Ancelotti serve ad affrontarlo e passa per un successo nel 2019. Tre anni di grandi risultati senza trofei hanno lasciato questo sentimento di mancanza che va colmato, l’ha ammesso Insigne in conferenza stampa con la Nazionale. “Il Napoli ha bisogno di vincere qualcosa”, che il 2019 sia l’anno giusto. Non s’abbandoni lo sfizio di dar fastidio alla Juventus ma ci sono soprattutto la Coppa Italia e l’Europa League per procedere al raccolto.
Ciro Troise
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