Sky Sport 24 propone diversi speciali tra cui uno con Gennaro Gattuso, protagonista di una lunga intervista dal centro tecnico di Castel Volturno.
“Al di là dei trofei, mi interessa avere uno stile, coerenza, credibilità, farsi seguire dai propri giocatori”.
Gattuso allenatore? “La carriera che ho fatto mi ha aiuto nelle dinamiche giornaliere, ma è totalmente diverso come lavoro. Serve grande conoscenza, non basta aver giocato a calcio perché il calcio è cambiato tanto, così come la metodologia. La grinta resta, è una mia caratteristica, ma è una grinta diverse, bisogna essere più riflessivi e conoscere i giocatori caratterialmente. All’inizio pensavo ai giocatori tutti uguali, ho sbagliato per qualche anno, non è corretto perché ognuno è diverso ed ha una chiave diversa.
Il calcio è cambiato tantissimo negli ultimi anni. 10 anni fa vedevamo 30 minuti di spezzoni, non c’era match analysis, oggi ci sono telecamere fisse, c’è un grande fratello, si analizzano anche gli allenamenti e non solo gli avversari. Abbiamo tanti strumenti in più per valutare la forma, è cambiato molto. Ci sono molte più informazioni, negli staff ci sono 15 persone. Oggi ci sono rose di 25 giocatori, lo staff ed altri 15 fisioterapisti ed altri da gestire, hai la comunicazione che lavora con te con altre persone. L’allenatore deve dare una linea guida a 70-80 persone, non è facile e la bravura è nel farsi capire subito. La squadra non è solo quella che scende in campo, ma tutti quelli che stanno a contatto con la squadra.
Su Ancelotti: “Carlo è sempre stato un punto di riferimento, sia quando ero giocatore che da allenatore. C’è grande rispetto. E’ successo un qualcosa di strano, ma c’è rispetto, mi ha lasciato una grande squadra, tuttora ci sentiamo. Nel calcio paga l’allenatore quando i risultati non arrivano, ma l’amicizia non è cambiata assolutamente. Seguirlo? Non si può seguire, si fanno solo danni se si vuole imitare uno come lui. Per come gestisce gli spogliatoi, per come ha gestito noi, me, come continua ancora a farlo, lui ha dentro questa dote, essere credibile ed entrare nella testa dei giocatori da 20 anni. Eravamo padre-figlio ad un certo punto, non giocatore-allenatore e se ho fatto quello che ho fatto tanti meriti sono suoi”.
Sulla chiamata del Napoli: “Sapevo che venivo in un grande club, che negli ultimi 7-8 anni è diventato uno dei primi al mondo, mi ha colpito la chiamata di ADL. Non me l’aspettavo, sapevo il valore di Carlo, è stato un orgoglio e sono contento pur sapendo delle difficoltà. Allenare questi giocatori e lavorare in una città così mi dà carica e soddisfazione. Quando andrò via voglio essere ricordato per la serietà, la voglia, per aver fatto cose importanti, poi i giocatori devono essere gli idoli perché loro vanno in campo”.
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