“Io do a Castro un anno, non di più” la frase pronunciata dall’ex dittatore filo-americano Fulgencio Batista, poco dopo che la rivoluzione di Fidel Castro aveva fatto cadere il suo regime a Cuba. Mai previsione fu più errata. Sono invece passati 57 anni prima che qualcosa mettesse la parola fine alla vita di Fidel Castro. E non è stata una contro-rivoluzione, un attentato, un omicidio o quant’altro. È stata semplicemente la morte, quella che prima o poi coglie tutti, a chiamare anche Fidel Castro nella tarda serata di ieri. Ad annunciarlo il fratello e successore alla guida di Cuba Raùl.
57 anni dopo che la “profezia” di Batista si avverasse. Nel mezzo Castro ha visto ed è sopravvissuto ad 11 presidenti americani, più di 600 tentativi di omicidio commissionati dalla Cia, una guerra mondiale quasi scoppiata a causa sua (la Crisi dei missili di Cuba), il crollo dell’URSS e del comunismo in Europa, e soprattutto una rivoluzione che, tra alti e bassi, ha continuato ad essere una costante nella vita di Cuba. L’odio degli esuli cubani a Miami, pronti a gioire alla notizia della sua morte, ma che erano i primi pronti a rimpiangere la madrepatria, e la sua sanità gratuita, quando le multinazionali della sanità privata americana gli ricordavano che la loro assicurazione sanitaria non copriva le spese mediche. L’odio degli Usa, almeno fino alla recente svolta e apertura di Obama, preoccupati di quello “stato canaglia” socialista a pochi chilometri dalle coste della Florida, nel “cortile di casa”, inaccettabile in un continente dove lo Zio Sam finanziava ed appoggiava gente come Pinochet, la junta militare argentina o i contras in Nicaragua. E infine un’amicizia un po’ particolare: quella con Diego Armando Maradona.
Parliamoci chiaro, due così non potevano non incontrarsi. Era destino, due “perennemente contro”. Che fosse il capitalismo americano o la corruzione della Fifa. Due che, nei rispettivi ambiti, commettendo sbagli ed errori, hanno comunque sempre cercato di essere coerenti con la visione che avevano del mondo. Castro aprì le porte della sanità cubana (tra le migliori al mondo) a Maradona, quando quest’ultimo ne aveva bisogno. Dal canto suo Diego non ha mai fatto mistero di abbracciare le idee politiche di Castro. Lo testimonia anche il tatuaggio che Maradona ha sul braccio: il Che. Compagno di Castro nei giorni della rivoluzione, argentino come Maradona. Una figura che idealmente li ha uniti. Un po’ l’amico in comune. Castro vedeva in Maradona il se stesso applicato al calcio. L’uomo che lottava contro tutti, capace di caricarsi sulle spalle il “peso della storia”. E Maradona nel suo ambito ha fatto la rivoluzione. Mandare a casa gli inglesi in un Mondiale, prima con la furbizia della mano de Dios, e poi col genio del gol del siglo. Giusto per ribadire che è Maradona. Roba che gli “imperialisti” inglesi sognano ancora la notte. Uno schiaffo all’Impero. Come quelli che Fidel ha dato ai vari presidenti Usa. Abbiamo già detto dei più di 600 attentati ai suoi danni. Tutti falliti, con buona pace della Casa Bianca.
E che dire dei consigli di amministrazione della Fiat o di Fininvest quando Diego, alla guida del Napoli, decise che era arrivano il momento che lo Scudetto non fosse più una questione tra i ricchi club di Torino e Milano. Con le dovute proporzioni è come il brutto quarto d’ora che la United Fruit dovette passare dopo che Castro nazionalizzò l’agricoltura a Cuba. Da quasi servi della gleba, costretti a produrre per esportare negli Usa, a cittadini a tutti gli effetti. Bel passo in avanti.
Molti, a questo punto, avranno già storto il naso. Per molti Castro era un sanguinario dittatore, uno che non rispettava i diritti umani. Punti di vista, condivisibili sotto alcuni aspetti. Ma è proprio qui l’altro punto in comune con Maradona. Due così non potevano che essere amici, mi piace ripeterlo. Perchè la grandezza non sta solo nell’amore, ma soprattutto nell’odio. Lo sterile rispetto, quello che ti fa dire “è bravo”, “è un grande”, riguarda solo i mediocri. I grandi, siano essi calciatori o personaggi storici, da sempre dividono. Creano dibattiti, opposte fazioni. Maradona e Castro, o li ami o li odi. É un privilegio che spetta solo ai migliori.
Nonostante il calcio non sia lo sport principale a Cuba (va forte il baseball, dove la nazionale cubana da anni contende titoli a, guarda un po’, quella statunitense) spesso Castro diceva di averlo praticato da giovane. Non era raro che nei suoi incontri con Maradone parlasse di fùtbòl, così come non era raro che Diego parlasse di politica. Due così non potevano che essere amici. Si, lo so, è l’ennesima volta che lo ripeto. E’ così. Simili, quasi complementari. Nei loro successi, ma soprattutto nei loro sbagli. Chi non li commette. Tutti, solo che alcuni hanno il peso della storia sulle loro spalle ed i loro errori vengono inevitabilmente ingigantiti. Nelle cose spesso conta la forma, il come le si fa, e si tralascia il contenuto, il motivo per il quale le si fa. Che il motivo per cui sono state fatte alcune cose sia giusto o sbagliato non tocca a noi deciderlo. Alla fine, come disse proprio Castro, è la “storia” che “li assolverà”
Il video della celebre intervista che Maradona fece a Fidel Castro
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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