Nei 17 mesi trascorsi a Napoli, Maurizio Sarri ha dimostrato che la personalità non gli manca. Nei primi tempi ha stupito un po’ tutti accantonando, dopo poche settimane, il suo pupillo Valdifiori, e abiurando il suo marchio di fabbrica, il 4-3-1-2, con cui era approdato alla corte di De Laurentiis. Per il bene dei risultati. Che sono arrivati subito, riportando infine il Napoli in Champions, con un tale bel calcio che di recente la stampa internazionale ha definito la squadra partenopea come la più sexy del continente. Eppure, intanto, qualcosa si è incrinato: lo sfortunato incidente di Milik, che sembrava riuscire a compensare la partenza di Higuain con nuovi equilibri offensivi, ha stravolto tutti i piani. Allo stesso tempo, per un’infausta coincidenza anche la difesa ha perso sicurezza ed efficacia.
Sarri ha affrontato problemi e critiche restando fedele al suo credo, conscio che l’allenatore è responsabile ma anche padrone delle proprie scelte, nonostante un certo calo di consenso mediatico e, come se non bastasse, le ingerenze pubbliche del suo stesso presidente. È curioso che stavolta, di fronte alla seconda vera “crisi” della sua gestione, il tecnico toscano non abbia voluto più cambiare nulla, quasi per principio o per orgoglio, o come a voler dimostrare che le carenze sono tutte nella rosa. Fatto sta che oggi la situazione è decisamente più complessa rispetto all’inizio della sua esperienza napoletana. In termini di punti conquistati, la carestia è preoccupante. È vero che la squadra continua a creare molto e a gestire bene il pallone, ma da almeno un mese è deficitaria nei reparti decisivi, quelli in cui si fanno e si prendono i gol.
Un semplice “cambio di modulo” non è una soluzione concreta: non si tratta di riformulare una sequenza di cifre o ridisporre la posizione di undici pedine, ciò che conta è ricalibrare movimenti e sincronie. Come il sostegno di Allan al reparto arretrato, visto che la difesa, quando abbassa la linea ed è messa alle corde, va in affanno per la scarsa collaborazione dell’esterno sinistro, più votato a spingere che a proteggere. O come i meccanismi offensivi di Gabbiadini, il giocatore attualmente più discusso da esperti e tifosi. Non si possono adattare gli automatismi di una squadra intera alle caratteristiche di un singolo, è molto più logico che un singolo si adegui alla squadra – ha spiegato Sarri a tal proposito, e in apparenza il ragionamento fila. A dire il vero, nessuno chiede a Sarri di piegarsi a Gabbiadini, occorrerebbe però tirare fuori il meglio dal materiale a disposizione, e fare di necessità virtù. La perdita di Milik è un dato di fatto e nemmeno Mertens schierato da “falso nove” sembra produrre i frutti sperati.
Se Gabbiadini non rende come punta centrale, è perché non ha fisico e caratteristiche tecniche per fare da elastico, creare spazi a spallate e giocare di sponda con la schiena alla porta. Piuttosto, Manolo ha bisogno di dialogare con la palla a terra o di assist veloci in profondità, quel lavoro che potrebbero offrire giocatori dinamici e tecnici come Mertens o Insigne, che invece cercano sempre il taglio di Callejon, l’unica arma rimasta a questo Napoli. Senza dimenticare che in rosa ci sono anche Rog (mai visto) e Giaccherini (quasi mai), due calciatori polifunzionali, che insieme a Zielinski, sanno giocare tra due reparti, e magari potrebbero offrire variazioni tattiche almeno a partita in corso (invece delle solite sostituzioni speculari, ruolo per ruolo).
Fare di necessità virtù e tirare fuori il meglio possibile, piuttosto che intestardirsi su un copione che, senza l’attore principale, non sembra rendere granché. Non esiste una sola soluzione tattica, ma si deve provare a massimizzare il materiale a disposizione. In questo materiale ora non c’è Milik, bisogna accettarlo. Ma ci sono Gabbiadini, Mertens, Callejon, Zielinski, e poi i desaparecidos Giaccherini e Rog. Se in estate non sono arrivati altri attaccanti, è inutile piangerli, né si può aspettare il mercato di gennaio, ammesso che la Befana porti un regalo. Meglio essere realisti, per tornare a fare risultati. E il realismo a Sarri non manca, insieme alla personalità.
A cura di Lorenzo Licciardi
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