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Eternamente Lui, eternamente tuo, eternamente nostro…

Tutto è superfluo quando si prova a raccontare un Suo minimo gesto, perché l'infinito non si può spiegare

”Ma è un incubo? Vi prego, ditemi che Lui c’è ancora. Ditemi che Dio non è morto perché Dio non può morire. Ditemi che tra tre giorni risorgerà”. Ecco,  queste sono le parole che esplodono nella mia testa, ma facciamo un piccolo, e tristissimo, passo indietro…

25 novembre 2020

Ore 17:20,

il cellulare incomincia ad esplodere e scorro i messaggi: ”Dall’Argentina affermano che Maradona è morto” e penso, ma soprattutto spero: ”Sarà una fake news”.

Ore 17:30,

notizia confermata e rimango fermo, impassibile, guardo il vuoto, non parlo, respiro a stento, il giusto per continuare  a vivere, il cuore si ferma per poi ripartire in maniera accelerata e inizio a piangere ma non a dirotto perché ancora non mi capacito che Lui sia andato in cielo.

Ore 17:50,

torno a casa perché bisogna raccontare la morte del Dio e mentre cammino per strada, tra mascherina e igienizzante, ascolto da tutti i lati delle strade: ”Hai visto? Hai sentito? Il Re è morto”. Vedo gente incredula, vedo gente che si asciuga le lacrime e piccoli gruppi di persone, che mantengono comunque la distanza, che iniziano a ricordare…

Ore 18:05,

Prendo il pc e inizio a scrivere con molta fatica perché bagno i tasti del computer con le mie lacrime…

IL RE è morto, viva il RE!!!

Fermatevi un attimo e scandite bene il  Suo nome, lo so che è peccato perché non bisogna mai nominare il nome di Dio invano ma oggi è consentito anche bestemmiare: ”D-I-E-G-O A-R-M-A-N-D-O  M-A-R-A-D-O-N-A” e sentirete la potenza di questo nome, sentirete un brivido lungo la schiena che vi arriverà dritto al cuore,  sentirete rimbombare le mura della vostra casa, sentirete il vostro sangue bollire  nelle vene, sentirete una musica incalzante nelle vostre orecchie, sentirete il San Paolo che urla in pieno orgasmo: ”D-I-E-GO, D-I-E-GO, D-I-E-G-O…” 

Stadio San Paolo, 5 luglio 1984

Il Re si presenta al cospetto del suo popolo che non smetterà mai di venerarlo, neanche nei momenti più difficili. Lui ha gli occhi spalancati, sorpresi, increduli e capisce subito che Napoli è una città diversa dal resto del mondo. In quegli occhi il Re vede davanti a sé già le vittorie che verranno negli anni a seguire, già vede la Rivoluzione che inizierà dopo aver salito gli ultimi tre scalini, vede l’anima di un popolo stanco di essere classificato, etichettato e di non vincere sia nella vita che nel calcio.

C’è una moltitudine di persone dietro al Re che spinge al cielo con le proprie braccia il Sovrano per consegnarlo al popolo e per renderlo eterno.

C’è un’altra moltitudine di persone sopra la testa del Re che fa da collante tra il Monarca e i suoi fedeli, uniti in un legame indeterminabile dalle leggi scientifiche. Un attimo prima della Storia, un attimo prima della Rivoluzione…

Non ti ho visto giocare, ma eri già con me quando ero nell’utero di mia madre

Sono nato il 28 marzo 1987, ad un mese  e mezzo dalla vittoria del primo Scudetto, e chi è nato in quel periodo sa che se da un lato ha il grande rimpianto di non aver vissuto la presenza di Dio a Napoli,  dall’altro lato può dire che sentiva il Suo tocco del pallone ancor prima di nascere; quando si era nell’utero della propria madre . Chi è nato tra il 1983 e il 1991 può affermare che non si addormentava ascoltando le favole, ma ascoltando i racconti  dei propri padri o nonni delle Sue giocate, dei Suoi passaggi, dei Suoi goal, delle sue magie, dei Suoi miracoli…

ETERNAMENTE LUI

Molti affermano che il calcio sia finito oggi, ma non sono d’accordo. Non sono d’accordo perché è come dire che il Cristianesimo sia finito dopo la morte di Gesù. Voi mi contesterete: ”Ma Gesù è Risorto” e io vi rispondo che anche Lui  non morirà mai perché è vivo nei nostri cuori, nella nostra mente e nella nostra anima: lo si può ancora ammirare al San Paolo mentre insegna calcio a noi uomini di buona volontà, lo si può ancora vedere tra le strade e vicoli di Napoli. Lui è l’evidente prova che a Napoli il calcio non è solo uno sport, ma una metafora di vita.

Tutto è superfluo quando si prova a raccontare un Suo minimo gesto, perché l’infinito non si può spiegare.

Posso dire che sto piangendo ancora e continuerò ancora per chissà quanto tempo,  posso dire che:

Eternamente azzurro,

eternamente Dio del calcio,

eternamente 10,

eternamente nostro,

eternamente tuo,

eternamente D-I-E-G-O…

DI WILLIAM SCUOTTO

 

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