Il momento è complicato, il Napoli ha la sfida più difficile dell’era De Laurentiis: abbassare il monte ingaggi, costruire una squadra competitiva magari anche rinnovandola perché a fine ciclo, usando un’espressione di Spalletti.
Tutto questo va fatto poi dopo che per anni il Napoli ha scelto la via della conservazione, cioè tenere l’impianto di base delle stagioni di Sarri dedicandosi alla “rivoluzione dolce” con tanto di restaurazione obbligata quando, tra ammutinamento e classifica, la gestione Ancelotti era deragliata.
Tenere in bilico Koulibaly e Mertens per un presidente in difficoltà nel consenso popolare è esercizio complicato ma De Laurentiis ha l’argomento da sfruttare in tutte le stagioni, da Lavezzi ad Insigne: l’arma della napoletanità.
La contraddizione incredibile è che l’autore del “je accuse” in stile Masaniello ha fatto retromarcia sulla napoletanità. Invocava nei primi anni il “Napoli dei napoletani”, poi ha compiuto una scelta, blindando tutto a Castel Volturno e non prendendo mai una casa a Napoli sia per la prima squadra che per il settore giovanile.
Il “Napoli dei napoletani” non c’è più, De Laurentiis ha fatto una scelta
Le storture del territorio l’hanno sempre tenuto lontano, basta pensare quando il Napoli si trovò senza centro sportivo per i guai della struttura di Sant’Antimo, casa del vivaio per tanti anni. A Napoli non hanno una casa nè il presidente nè il club.
Il Napoli si vede poco sul territorio, non ha rapporti consolidati con i tifosi neanche sotto il profilo istituzionale, a memoria ricordo due allenamenti a porte aperte, uno fu confermato a due giorni dall’ammutinamento e, infatti, diventò scenario di contestazione.
De Laurentiis ha più volte ribadito che è venuto a fare impresa, l’ha fatto a suo modo ed ha portato a casa risultati straordinari, sia sportivi che economici, considerando la dimensione del Napoli. Il club è in mani sicure, ha retto i danni della pandemia e delle ultime stagioni, con la rivalutazione del marchio ha mantenuto anche una certa stabilità finanziaria in questa fase così complicata.
Sono le contraddizioni che, però, inquietano: perché De Laurentiis può pensare a fare impresa, anche a tagliare gli ingaggi mentre Koulibaly e Mertens, che sono imprenditori di se stessi, dopo aver promosso la città di Napoli anche fuori dal campo di gioco, devono essere accusati di pensare alla vile moneta?
Mertens e Koulibaly anche hanno il diritto di fare impresa
Perché tirare fuori l’arma della napoletanità prima su Spalletti e poi su Koulibaly e Mertens quando per diciotto anni il Napoli ha scelto di non vivere la città? Non ci crede più nessuno, basterebbe dire la verità: non ce li possiamo più permettere, scegliamo di cambiare per una valutazione finanziaria che di conseguenza è anche tecnica.
Così come il Napoli lavora per abbassare il monte ingaggi, Mertens e Koulibaly hanno il diritto, dopo aver onorato maglia e città, di fare le scelte che ritengono più opportune senza dover passare per “schiavi della vile moneta”.
È un’arma che non funziona più, è meglio dire la verità, senza smentire i giornalisti il giorno prima e confermare poi che il problema era la vile moneta. Il dado è tratto, per De Laurentiis è meglio tuffarsi nel mare aperto della sua nuova sfida piuttosto che affidarsi ai film già visti nel passato.
Ciro Troise
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