De Laurentiis ha trascorso la primavera dove faceva le riunioni in Prefettura, le conferenze sull’ordine pubblico, poi è arrivata l’estate in cui giustamente, dopo anni d’insulti inaccettabili, conquistava l’acclamazione popolare. In quei momenti, però, c’era il rischio forte che il re acclamato si facesse prendere dall’illusione di poter tranquillamente superare da solo la sfida più difficile della sua avventura: ripartire cancellando il sistema scudetto.
Il Napoli ha perso Cristiano Giuntoli e Luciano Spalletti, i protagonisti in assoluto del trionfo atteso 33 anni, il primo dopo Maradona. Nella narrazione populista sembrava che non fosse andato via nessuno di rilevante, tanto il Napoli lo poteva allenare chiunque e Giuntoli era lo juventino da mandare via anche prima soltanto se De Laurentiis lo avesse saputo.
Il Napoli ha iniziato la programmazione del suo momento più difficile senza un direttore sportivo, De Laurentiis si è confrontato con Maurizio Micheli, il vero responsabile dell’area tecnica per questa stagione. Era l’uomo della continuità, il caposcouting con cui De Laurentiis ha condiviso le idee Garcia, Meluso (con l’anomalia del direttore sportivo che arriva un mese dopo l’allenatore) e poi l’acquisto di Natan che è un buon giocatore, un ottimo investimento nel rapporto qualità-prezzo. Rimane un azzardo sostituire Kim con un prospetto da sgrezzare, però almeno ha delle qualità importanti. Ha personalità, un buon piede sinistro anche sul lungo, lavora bene sull’uomo e, quando ci sarà Rrahmani al suo fianco, potrà ancora crescere.
Micheli e Meluso pescano Lindstrom al posto di Lozano, un esterno che dava profondità, accelerazioni che piaceva anche tanto Garcia. Lindstrom era negli archivi dell’area tecnica da tempo, rappresentava un’idea seria se nell’estate precedente fosse saltato l’affare Raspadori.
Siamo ancora ad ottobre ma nel calcio si dice che l’inverno è figlio dell’estate e la presunzione generale sta determinando i suoi danni. De Laurentiis ha pensato di fare scelte di calcio senza un uomo abituato a governare l’area tecnica di una società. Esistono i ruoli e le attitudini: l’osservatore, il caposcouting e il direttore sportivo che ha competenze diverse. Ha il fiuto del campo, la visione condivisa con l’allenatore, la prospettiva aziendale e tecnica.
Pensare di prendere Garcia solamente perché può fare il 4-3-3 e così dare continuità è una narrazione banale, l’auspicio è che ci sia stata una valutazione più profonda e magari qualcosa non abbia ancora funzionato. Il Napoli è un ibrido che accontenta un po’ tutti: De Laurentiis che vuole il 4-3-3, la squadra che ricerca i principi di gioco che ha imparato con Spalletti e Garcia che talvolta tenta di mettere il suo tocco con alterne fortune. È noto che quando si vuole accontentare tutti alla fine nessuno è pienamente contento. Il tocco di Garcia fu positivo, quando mandò Cajuste tra le linee ad aprire la scatola della difesa rossoblù. L’intervento sulla partita nella ripresa contro la Fiorentina, invece, è stato un disastro, si è perso nelle tracce della sua confusione.
Se il Milan rinuncia a Leao, la Fiorentina a Nico Gonzalez e Biraghi, qualcosa vorrà pur dire nella gestione degli impegni di coppa. Garcia, eccetto la prima giornata a Frosinone con Anguissa non ancora al massimo, ha sempre schierato lo stesso centrocampo, il reparto più in affanno nel primo tempo contro la Fiorentina.
De Laurentiis riflette, valuta come venir fuori da una situazione complicata perché il virus della presunzione ha visto anche Garcia tra i protagonisti.
La squadra andava accompagnata con cambiamenti graduali, aveva bisogno di un’opera di manutenzione e, invece, Garcia si è posto a metà tra quello che ha in testa e la consegna aziendale: raccogliere l’eredità, dare continuità. Una volontà della società che Garcia ha smentito subito con la frase manifesto del suo inizio complicato: “Non conosco il passato”
Gli ibridi non funzionano, il Napoli ha bisogno di certezze nei principi di gioco, nella tenuta delle distanze, nel funzionamento della linea difensiva.
La sconfitta contro la Fiorentina è una fotografia dello stato dell’arte, un quadro della confusione nella gestione degli uomini, nella scelta dell’identità tattica. Lo dicevamo anche durante l’estate della presunzione, mentre lo scudetto ancora copriva le negatività: Garcia scelga una linea.
O la continuità o il cambiamento vero, convinto, cercando di portare i giocatori dalla sua parte. Non c’è altra strada. I numeri iniziano ad essere pesanti: in dieci gare ufficiali il Napoli ha raccolto cinque vittorie, due pareggi e tre sconfitte, è quinto a sette punti dal Milan capolista dopo otto giornate, ha l’ottava difesa del campionato insieme al Torino con nove gol subiti.
È il momento delle riflessioni per tutte le parti in causa, c’è ancora tempo per rimediare.
Ciro Troise
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