Ad oggi, 2020, la Società Sportiva Calcio Napoli gode di un grande blasone. L’artefice del processo che ha visto rinascere il club azzurro è Aurelio De Laurentiis, che nel 2004 prese in mano le redini (all’epoca la società portava il nome di Napoli Soccer). Da quel momento, la crescita graduale e costante che ha permesso a questa realtà di rifarsi un nome dopo i fasti di un tempo risalenti all’epoca “maradoniana” ed affermarsi in campo nazionale e non solo.
Tanti sono stati i personaggi che hanno contribuito alla riaffermazione del Napoli, alcuni dei quali hanno potuto, grazie alle gesta mostrate in azzurro, proporsi al calcio internazionale. Tuttavia, c’è un piccolo ma al contempo grande neo che frena la crescita: la scarsa valorizzazione del settore giovanile. Per tante società rappresenta il motore da sempre, alcune lo mettono al centro della propria programmazione (LEGGI ANCHE >>> Settore giovanile del Napoli, i numeri che spiegano il disastro della Primavera)
Proprio pochi giorni fa Edwin van der Sar, ex stella del Manchester United e della nazionale olandese, ora direttore generale dell’Ajax, ha reso nota la cifra che i Lancieri spendono per il proprio vivaio: 11-12 milioni, praticamente sei volte di più del Napoli che ne spende solo 2 di milioni. Il risultato, a questo punto, è molto semplice quanto logico: strutture carenti, organizzazione pure. Ecco perché il club azzurro fa tanta fatica nello sfornare talenti e succede che la Primavera, dopo i recenti disastrosi risultati, retrocede in Primavera 2. Talenti che in Campania ce ne sono e pure tanti, ma ci si deve impegnare nel valorizzarli garantendosi in organico gente competente a livello calcistico e manageriale.
Affermarsi nei vivai in Italia è complicato, vista anche l’overdose di stranieri che arriva ad ogni campagna trasferimenti nel nostro mondo del pallone e farlo al Napoli è ancora più complesso. Uno su mille ce la fa, ce ne sono altri 999 che rappresentano storie parallele, da seguire. Noi di IamNaples.it siamo andati a scoprire una di queste avventure umane: quella di Vincenzo Vasca.
Oggi, che di anni ne ha solo 21, Vincenzo ha già appeso gli scarpini al chiodo per dedicarsi ad un qualcosa che potesse garantirgli una stabilità futura, lui che progetta di realizzarsi e creare una famiglia un giorno. Soli 21 anni, eppure questo giovane ragazzo originario di Giugliano ha saputo farsi un’idea lucida e matura di un calcio ai suoi occhi irriconoscibile ormai, nel quale l’unica cosa che si rincorre (oltre alla palla) è il successo personale. La crescita del collettivo, quella che forma professionalmente ed umanamente poi ogni singolo individuo di una squadra, viene sempre in secondo piano. Dunque, attraversiamo questo problema col racconto della sua storia.
GLI INIZI E LA CHIAMATA DEL NAPOLI – Nato a Giugliano in Campania il 3 giugno 1999, all’età di otto anni muove i primi passi della sua giovanissima carriera nelle fila dell’Atletico Giugliano, una scuola calcio locale. Le sue doti di attaccante e all’occorrenza ala attirano l’attenzione di qualcuno che nota il talento del piccolo Vincenzo e decide di concedergli la sua prima grande opportunità per sfondare. Lo seguono gli osservatori della Società Sportiva Calcio Napoli, che contattano l’Atletico Giugliano per un provino. Pochi tentativi e finalmente arriva la notizia tanto attesa quanto inaspettata: il Napoli decide di ingaggiarlo.
Col cuore ricolmo di gioia e soddisfazione per la possibilità ricevuta, Vincenzo, all’epoca undicenne, comincia la sua avventura in azzurro, che durerà cinque anni ma dividendosi in due capitoli. Nel primo segmento di militanza al Napoli, l’attaccante giuglianese riesce a ritagliarsi il suo spazio soprattutto nelle gerarchie di mister Vincenzo Marino nel campionato Under 17 Lega Pro ed è compagno di squadra di un altro volto noto di casa Napoli: Gianluca Gaetano, oggi in Serie B con la Cremonese in prestito.
Nella stagione 2014/15, dopo 49 gol messi a referto tra Esordienti, Giovanissimi ed Allievi regionali, il Napoli decide di cederlo per un anno alla Paganese, dove collezionerà 7 presenze e 4 reti. Al termine del prestito, ecco che Vasca vive il suo secondo capitolo in azzurro, che però durerà solo un’altra stagione e nel 2015/16 viene girato nuovamente in prestito, stavolta alla Primavera del Catania. Sarà lunga soltanto sei mesi l’avventura in terra siciliana per Vincenzo, che collezionerà non più di 5 presenze. Dopodiché, l’attaccante comincerà un’altra tappa della sua carriera trasferendosi al Gelbison, squadra militante in Serie D dove giocherà con la Juniores (con cui presenzierà 7 volte siglando 5 gol) ma togliendosi anche la soddisfazione di esordire in prima squadra. Qui Vincenzo, ormai diciottenne, si rende protagonista di un episodio simpatico con Maurizio Lanzaro, calciatore di enorme esperienza con un passato in Serie A tra le altre con la Reggina (2005-2010) e nella Liga spagnola col Real Saragozza (2010-2013).
Durante una partitella di allenamento, con l’irriverenza tipica di ogni calciatore della sua età, l’attaccante giuglianese brucia sulla corsa l’esperto difensore con un semplice contromovimento e va in gol. Episodio che suscita l’ilarità di tutti, nessuno riesce a credere che uno così formato come lui, avversario in passato di personaggi del calibro di Ronaldinho e Messi, si sia fatto saltare da un giovane ragazzo di appena diciotto anni con tale facilità. L’episodio, però, è significativo, evidenzia ancora una volta le grandi qualità del ragazzo. Lo stesso Lanzaro però si rivelerà, su ammissione dello stesso Vasca, un grande insegnante a livello professionale e umano, così come altri calciatori che incontrerà negli ultimi momenti della sua carriera.
IL RITORNO A GIUGLIANO – Vincenzo ormai è convinto di restare in Serie D. L’esperienza al Gelbison è solo agli inizi e ci sono anche altre squadre di categoria che lo cercano, ma è proprio in quel momento che riceve la chiamata che ribalta totalmente le carte in tavola. In una calda giornata di luglio del 2017 squilla il suo cellulare: “Vincenzo, te la senti di affrontare questo campionato di Eccellenza con noi?”. Al telefono è Salvatore Sestile, suo storico presidente, che lo invita a tornare al Giugliano. Il progetto è ambizioso, in più al timone c’è un capitano che è ormai un idolo per il popolo gialloblù e che è deciso a riportare la squadra ai fasti di un tempo. La decisione di Vincenzo è quindi semplice ed immediata: non importa la categoria, tornare dopo più di dieci anni tra le braccia dei suoi tifosi è doveroso. Ma soprattutto dal suo presidente, che al momento della firma lo accoglierà con una frase che ancora oggi fa brillare gli occhi al ragazzo: “E’ tornato il mio pupillo!”.
Nella stagione del ritorno a casa (2017/18), l’ultima prima della chiusura della sua carriera, il giovane attaccante e i suoi compagni non riescono nell’impresa di centrare la promozione in Serie D. Stagione in cui cresce tanto sotto i consigli calcistici e di vita del capitano Ferdinando Castaldo e Michele Tarallo – attaccante come lui – giocatori di enorme esperienza in categorie superiori. Giugliano che però centrerà l’obiettivo la stagione appena successiva, quando purtroppo Vasca ha già preso la sua decisione di abbandonare il calcio. Quella stagione all’insegna del ritorno del figliol prodigo è bastata a Vincenzo affinché si legasse ancor di più a Salvatore Sestile, tragicamente scomparso il 4 ottobre 2019 all’età di 53 anni, a distanza di pochi mesi dall’impresa più grande della sua creatura dopo undici anni di assenza dalla categoria.
IL CAMBIO VITA E IL MESSAGGIO AL NAPOLI
Vincenzo ha solo 19 anni quando sceglie di dire addio al calcio. Una decisione certamente difficile quella di rinunciare così presto al sogno che cullava da quando era bambino ma che lui prende con la consapevolezza giusta, perché nella vita non conta solo il calcio. La sofferenza iniziale lascia subito spazio, infatti, alla voglia di darsi da fare per costruirsi un avvenire. Vincenzo si iscrive all’Università, si impegna in politica in virtù del suo grande senso di socialità che lo accompagna da sempre. Non svanisce, però, in lui la passione per il pallone. Ha lasciato quel mondo solo per vederlo dalla prospettiva opposta: quella dell’allenatore. Oggi, infatti, Vincenzo allena i bambini dell’Atletico Fc, scuola calcio locale, al fianco di Pasquale Contini, altro volto noto della realtà giuglianese e papà del noto Nikita Contini, scelto da Rino Gattuso come terzo portiere del Napoli per questa stagione. Il suo intento è quello di valorizzare ognuno di questi ragazzi, cosa che ha sentito mancare durante la sua esperienza personale.
Mi conservo la domanda più ostica e spinosa per l’ultimo pezzo dell’intervista, quello prima di salutarci, ossia quella sulla gestione del settore giovanile da parte del Napoli, che lui ha conosciuto in prima persona. Vincenzo, fortunatamente, la accoglie con piacere e risponde molto serenamente, senza né rabbia né rancore verso la società che poteva rappresentare per lui una rampa di lancio importante, cosa che invece non è stata. Questa, che è la parte cruciale, desidero riportarla integralmente, ringraziando di vero cuore Vincenzo per averci dedicato il suo tempo.
Guardando al tuo passato in azzurro, hai qualche remore nei confronti della SSC Napoli?
“Sebbene molto giovane, ho avuto modo di sviluppare in me un forte spirito critico e non nego che il settore giovanile del Napoli soffre di grossi problemi. Ma non ne parlo da persona risentita, perché ho scelto con coscienza di lasciare il calcio. Tuttavia, frequentando tutt’ora ambienti calcistici, mi sono fatto la mia idea.
Sulla gestione organizzativa: “Per una realtà che compete nelle massime competizioni europee, la gestione del settore giovanile dovrebbe basarsi innanzitutto sull’ingaggio di persone competenti in termini non solo puramente calcistici ma anche di organizzazione dirigenziale, che sappiano fornire alla società uno stampo manageriale. E’ fondamentale, cioè, investire soldi ma investirli bene in dirigenti e strutture. Ed io, purtroppo, vedo nel Napoli una forte carenza in tal senso”.
Sulla figura dell’allenatore: “Ci tengo poi a fare un appunto anche sulla figura dell’allenatore e le tecniche di allenamento utilizzate. A mio modo di vedere, un grosso limite del settore giovanile del Napoli è quello di non puntare abbastanza su ogni elemento della rosa. Ai tempi in cui c’ero io, venivano valorizzati soltanto alcuni quando, in realtà, un ragazzo del settore giovanile può far meglio di chi l’anno precedente era stato considerato più pronto rispetto a lui. Porto a sostegno della mia tesi l’esempio dell’Espanyol, realtà con cui ho avuto modo di interfacciarmi. Lì tra il primo e il secondo tempo venivano sostituiti 7 giocatori (se ne potevano sostituire così tanti), in modo tale che a fine gara tutti avevano disputato praticamente gli stessi minuti. Gli allenatori devono soprattutto recuperare il loro ruolo di istruttori e non pensare solo ed esclusivamente alla vittoria di un campionato, a raggiungere il traguardo, quindi alla valorizzazione personale: loro sono prima insegnanti di calcio e poi allenatori. Ecco, nella mia esperienza pochi si sono rivelati insegnanti. Il rischio è quello di valorizzare molti meno ragazzi in rapporto alla quantità di talenti che ci sono in giro per la Campania e ne ho visti davvero tanti”.
Sui metodi di allenamento: “Per il modo in cui intendo io il calcio adesso, gli allenamenti dovrebbero essere spezzettati. Nell’arco della settimana, un giorno dovrebbe essere dedicato all’allenamento collettivo, un altro a quello individuale, un altro ancora legato ai ruoli. Gasperini, ad esempio, è solito dividere il campo di allenamento in piccole porzioni, ognuna dedicata ai singoli reparti”.
Sull’addio al calcio: “E’ un mondo in cui non mi ci rivedevo più, ma non è l’unica motivazione. Io ho preso la scelta consapevolmente riconoscendo i miei limiti. Mi sono ritrovato a bazzicare tra Serie D ed Eccellenza, sognavo un giorno di arrivare in Serie A ma non ci sono riuscito. Non attribuisco, però, alcuna colpa al Napoli, che è la società di rango maggiore in cui ho militato, rifarei sicuramente quella scelta. Certo, con la presenza di dirigenti preparati, qualcuno che mi indirizzava, avrei potuto far meglio, ma parte della colpa è mia. Il motivo principale che mi ha spinto a lasciare così presto è che il calcio a quei livelli è diventato invivibile, lo vediamo oggi con la pandemia che ha creato grosse difficoltà anche in squadre di Serie C che non riescono nemmeno a pagare i calciatori.
Ho pensato realisticamente al mio futuro, a come potevo crearmi una famiglia e sostenerla e certamente il calcio attuale ai livelli in cui ho militato non ti permette di farlo. Fortunatamente ho anche una famiglia alle spalle che mi ha aiutato tanto, mi ha permesso di iscrivermi alla facoltà di Giurisprudenza, ad impegnarmi in politica per via della mia socialità, la quale mi consente di poter migliorare anche nel mio lavoro futuro: ad essere sincero, perciò, non rimpiango la scelta di aver appeso gli scarpini al chiodo. Abbandonare il sogno che cullavo sin da bambino non è stato facile, ho sofferto, però questa decisione mi ha aiutato a crescere come persona e la rifarei sempre”.
Sul presente: “Continuerò a dedicarmi ai bambini che alleno e a donare loro tutta la mia esperienza calcistica e di vita, per me già è una cosa importante questa. E soprattutto, non commetterò con loro gli stessi errori che i dirigenti del Napoli hanno commesso con me e tanti altri ragazzi”.
A cura di Giuseppe Migliaccio
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