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Cosmi e il diritto di bestemmiare. Perché dovremmo tornare a distinguere tra cosa “è grave” e cosa “non è così grave”

La sanzione a Serse Cosmi per bestemmie riapre un annoso discorso. Ma in un calcio ormai sempre più "forma" ciò diventa spunto di riflessione.

Forse uno dei principali problemi che attanagliano il calcio italiano è che esso è gestito da gente che mai ha messo piede in campo. E soprattutto che, tali persone, messe lì, nel migliore dei casi, in base a logiche asetticamente economiche, rincorrono ossessivamente l’opinione di altra gente, la quale anch’essa non hai mai messo piede in campo.

Non bestemmiare, non dire vaffanculo, non guardare nemmeno storto il tuo avversario. Lo sfogo di Serse Cosmi, neo-tecnico del Crotone, dopo il bestemmione dopo la sconfitta di misura contro la Lazio, riapre il dibattito.

È lecito bestemmiare in campo? O meglio, quanto è grave una bestemmia in campo, in piena trance agonistica?

Fino a prova contraria, essendo l’Italia un paese laico, la bestemmia non è reato. Ed infatti dal ‘99 comporta solo un illecito amministrativo. Ma nel calcio, con tutto l’immancabile carrozzone di ipocrisia e doppiopesismo che l’Italia si porta dietro, è oggetto ancora di squalifiche e sanzioni. Non per tutti, logicamente.

Così capita che portieri che sono diventati meme viventi con le loro bestemmie possano continuare indisturbati ad invocare santi e madonne, mentre ragazzi che hanno la maglie poco strisciata si beccano le squalifiche.

Allora, onde evitare tali doppiopesismi, non sarebbe ora di eliminare qualsiasi ipocrisia e parvenza di moralismo di stampo vittoriano e sdoganare un qualcosa che non è nemmeno configurabile come un insulto ad un avversario? La fede, direte voi, ma anche qui è relativo. Uno stato deve tutelare il diritto di ognuno di credere e in cosa credere. Non rendere intoccabile tale credo o in chi credi.

In fondo il buon Dio (e lo dico da agnostico che se ne frega altamente delle diatribe tra atei e credenti) ha certamente altro a cui pensare rispetto ad un tizio in piena trance agonistica che se la prende con un’incolpevole divinità onnisciente solo perché l’ha creato con i piedi storti e senza la capacità di infilare due passaggi di fila?

Ma forse il problema è un altro, ed è inquadrabile secondo le parole successive sempre dello stesso Cosmi: “Vorrei anche discutere la norma, ma poi arrivano le associazioni clericali”.

Già perché il punto è che, nell’isteria del politicamente corretto odierno, ogni gruppetto vuole la sua quota di “pandizzazione”. Passatemi questo termine ideato al momento per indicare la tendenza di gruppi sempre più particolari a voler essere tutelati da tutto e da tutti. E soprattutto, passatemi anche il gioco di parole, prima di tutto e di tutti.

Così se Cosmi bestemmia insorgono i credenti; se Ibra e Lukaku sfiorano la rissa (un qualcosa che succede mediamente 3 volte a domenica in ogni categoria sportiva) si scatenano gli antirazzisti della domenica solo perché ci sono diverse gradazioni di melanina in campo; se un arbitro donna sbaglia la chiamata di un rigore solare non puoi nemmeno protestare in campo perché è sessismo (quando se lo stesso errore lo fa un arbitro uomo lo si massacra per giorni, spesso purtroppo non solo in maniera virtuale). Il vaffanculo all’arbitro genera indignazione, ma solo se chi lo dice ha un contratto inferiore ai 3 milioni l’anno e non ha abbastanza sponsor influenti che pretendono che sia protetta la sua immagine. E quindi niente polemiche e tutto passa in cavalleria.

Insomma, l’isteria politicamente corretta fa rima con ipocrisia. Il vero ed unico filo conduttore di questa modernità.

Chiariamo: non stiamo dicendo di sdoganare l’insulto razzista, l’insulto religioso o l’insulto sessista. Nessuno qui vuole tornare ad un giungla di insulti e volgarità. Stiamo solo dicendo che forse è il momento di darci una calmata e capire in primis che c’è un valore di gravità diversa nelle cose e nelle parole e soprattutto che lo sport è sport. Che spesso è un microcosmo in cui succedono cose che, immediatamente dopo il triplice fischio non hanno più alcun valore.

E, ripetiamolo, di tornare a prendere la cose per la gravità che meritano. Non tutto è grave 100, spesso in maniera totalmente relativa, perché ogni “panda” crede che la sua categoria valga 100. Che sia meritevole di interesse sopra le altre. I capolavori del relativismo e dell’individualismo.

Sediamoci e capiamo che il vaffanculo detto al 90’ sul punteggio di 0-0 ha un peso relativo a quel momento e a quel contesto. Così come quello che negli Usa chiamano trash talking fa parte spesso del gioco. Non è bello, ma non è così grave come lo si vuole far passare.

Non facciamo dettarci usi e costumi da chi in campo non ha mai nemmeno messo piede. E questi usi e costumi li stabilisce solo in base ad una convenienza del momento. Lo sport è anche un momento di sfogo, di catarsi collettiva. Per anni, mentre la società iniziava ad importare acriticamente isterie nate nei college californiani a sei zeri da figli di papà annoiati, e che in Europa non avevano e non hanno senso di esistere, lo sport sembrava ergersi come ultimo baluardi di genuinità: nel bene e nel male.

Fuori dal campo, dallo stadio, dal palazzetto, c’è un mondo che va verso un nuovo puritanesimo, un nuovo maccartismo. Promosso da gente che ha fatto della correttezza formale, in assenza di qualsivoglia intenzione di applicare una seppur minima correttezza sostanziale, il suo manifesto politico-ideologico.

Un modo per sentirsi buoni a costo zero, per espiare le proprie colpe concrete in modo soft e senza reale impegno. Non bestemmio, quindi sono bravo. Utilizzo l’asterisco, quindi sono inclusivo. Dico “di colore e non nero” e quindi sono anti-razzista. No, se non fai nulla nel concreto non lo sei. Sei solo forma, vuota forma e niente sostanza. L’andazzo verso cui stanno conducendo anche il calcio.

Cosmi non è peggiore di un allenatore X solo perché lui bestemmia e l’allenatore X non bestemmia. Ibra non è peggiore solo perché va a muso duro con Lukaku, Cristante non è meritevole di squalifica solo perché si lascia scappare un porcone invece di un vaffanculo.

Torniamo a relativizzare la gravità delle cose.

Una bestemmia verso un’entità che, come detto, se esiste ha problemi più gravi a cui pensare non è grave, insultare un avversario per la razza o l’orientamento sessuale lo è. E mettendo tutto sullo stesso piano si ottiene solo un risultato: si alza il reale valore di gravità di gesti che non sono così gravi, ma al contempo sia abbassa quello di gesti che sono davvero gravi.

Perchè se tutto è grave, nulla diventa davvero grave.

Se il fischio ad un giocatore di colore viene immediatamente equiparavo al massimo della gravità, qualcosa di davvero grave, come il dire “tornatene in Africa”, assumendo lo stesso livello di gravità del fischio, paradossalmente perde proprio la sua maggiore gravità.

Mandare a fanculo un arbitro in un momento di trance agonistica è mancanza di rispetto, ma non può essere equiparato (o certe volte addirittura ritenuto passibile di maggiori severità, dipende da chi lo fa) rispetto a chi va a prendere a testate lo stesso direttore di gara.

Se dessimo la stessa punizione a chi ruba e a chi uccide, staremmo elevando la gravità del furto o sminuendo quella dell’omicidio?

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I Am Naples Testata Giornalistica - aut. Tribunale di Napoli n. 33 del 30/03/2011 Editore: Francesco Cortese - Andrea Bozzo Direttore responsabile: Ciro Troise © 2021 IamNaples
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