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Caro Mura, con lei non c’era bisogno delle immagini ma bastava chiudere gli occhi

Una lettera-ricordo per Gianni Mura

Caro signor Mura,

non ho mai avuto il piacere d’incontrarla, ma mi permetto di dirle addio, con tutta l’umiltà dell’universo, con una semplicissima lettera.

Chi sono io per scrivere qualcosa su di lei? Certamente nessuno, ma lei merita un pensiero, un ricordo, perché, per chi come me vive di sport, la sua scomparsa è come un macigno che ti porta nel più cupo e triste vuoto.

L’ho ‘conosciuta’ per la prima volta, ovviamente, durante un Tour de France.  Avevo 11 anni ed era il 1998, edizione della vittoria di Pantani, e non lo dimenticherò mai quel momento, perché non appena lei apparve in televisione mio nonno, con cui  vedevo, tra qualche sua pennichella, tutte le tappe della Grande Boucle,  affermò: ”Lui è il migliore giornalista italiano, è cresciuto con Gianni Brera”. E mi illuminai, sentii un’emozione che scivolò per tutto il mio corpo e arrivò nel profondo della mia anima. Fu in quel momento, che la voglia di cercare di diventare un giornalista emise il suo primo vagito. Mentre narrava i fatti, il suo aspetto burbero, ma allo stesso tempo dolce e protettivo, trasmetteva tanta competenza e sicurezza.

Le sue parole, i suoi articoli erano qualcosa di straordinario. Negli ultimi anni novanta/primi duemila, dove la fantasia la faceva ancora da padrone, e si leggeva ancora tanta carta stampata, lei riusciva a farmi diventare il protagonista del suo articolo: mi ha fatto sentire l’odore del campo da gioco, mi ha fatto pedalare al fianco di Pantani o segnare un goal dopo un assist di Roberto Baggio, mentre ero chiuso nella mia stanza con solo la mia mente e un giornale tra le mani.

Ma la potenza della sua scrittura è continuata negli anni. In un giornalismo moderno fatto più di immagini che di parole, lei è stato uno degli ultimi eterni autori che con la scrittura proiettava al lettore delle proprie e vere istantanee dei fatti di cui raccontava. Con lei non c’è mai stato il bisogno di vedere una foto o un video per rivivere una partita di calcio o una tappa, ma bastava chiudere gli occhi.

Non si può chiamarla maestro perché sarebbe troppo riduttivo per tutto quello che ha fatto per il mondo del giornalismo e dello sport. Le sue parole destavano così tanta ammirazione che perfino il Tour de France si inchinava dinanzi a lei.

Con la sua morte, il 21 marzo 2020 rappresenta la data di non ritorno del giornalismo italiano. Da oggi, siamo tutti orfani di Gianni Mura perché chi ama lo sport, soprattutto lo scrivere di sport, non può non aver amato Gianni Mura.

DI WILLIAM SCUOTTO

 

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