Difficile immaginare un calcio senza tifosi, da sempre dodicesimo uomo e parte integrante di ogni squadra che voglia definirsi tale.
Un rapporto di odi et amo che negli anni ha cambiato forma, mantenendo però le stesse caratteristiche: il tifoso ed il calciatore si influenzano reciprocamente e quotidianamente determinano le azioni dell’altro.
A Napoli, però, è tutto amplificato. A Napoli i calciatori sono di tutti e tutti li accolgono come in famiglia. Quando un calciatore va via, il napoletano si sente abbandonato, perde un pezzo di cuore e questo lo distrugge emotivamente.
Sono molti i calciatori che, negli anni, hanno subito questa passione. Alcuni sono riusciti a gestirla attivamente lasciando un ricordo indissolubilmente positivo, altri sono stati passivamente travolti dall’amore partenopeo, senza riuscire a ricambiarlo.
Ezequiel Lavezzi e Gonzalo Higuain rappresentano il Giano bifronte del rapporto calciatore-tifoso napoletano. Il primo amato senza freni, simbolo di una Napoli che si affacciava in Europa dopo tanti anni e lo faceva con l’arroganza di chi sa di rappresentare un popolo intero e di essere in prima linea. Il secondo, invece, è riuscito quasi a far dimenticare ai napoletani di aver segnato 36 gol in un singolo campionato, semplicemente accantonando la passione e firmando per gli odiati piemontesi.
Far cambiare opinione ai tifosi è, tuttavia, possibile. Fabio Quagliarella lasciò Napoli da esiliato, il traditore che aveva scelto la Juventus. Anni dopo fu perdonato dalla tifoseria, dopo la scoperta delle reali motivazioni che l’avevano spinto a lasciare Napoli.
Cosa succederebbe, dunque, se Koulibaly e/o Mertens andassero via da Napoli? Che ricordo lascerebbero? Prevarrebbe il ricordo delle loro gesta o la loro decisione finale? E’ indubbio che la risposta a questa domanda dipende in gran parte dalla loro eventuale destinazione. Ci sono però tanti altri fattori. Parole, gesti simbolici e dichiarazioni d’amore. Kalidou e Dries non hanno mai sbagliato finora. Mai una parola fuori posto, mai un gesto ambiguo, solo applicazione, amore e passione verso la maglia e la città. Se dovessero andare via, dunque, sarebbe realmente a causa del, come qualcuno allude, vil denaro? O le motivazioni di una separazione sarebbero da ricondurre principalmente ad un mancato riconoscimento della suddetta appartenenza, prima ancora che dell’indiscusso talento?
Viene dunque da domandarsi se, alla luce del cambiamento che il calcio attuale sta vivendo, il tifoso medio, e in particolare quello partenopeo, debba cominciare a vivere il tifo con più distacco e con una visione più realistico/pratica.
E’ possibile fare il tifo per una squadra senza subire l’emotività che ne consegue? E soprattutto, è possibile, come qualcuno vorrebbe, essere clienti quando le cose vanno bene e diventare tifosi quando c’è bisogno di supporto?
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