Può piacere o non piacere, ma il calcio è ripartito. E con esso le polemiche che inevitabilmente accompagnano la “quarta industria del paese”. In attesa di capire come la situazione Covid-19 evolverà, se ci sarà un vaccino, se il virus si indebolirà, oppure in autunno ci sarà una ricaduta, la palla è tornata a rotolare sul rettangolo verde.
Senza ipocrisie: il calcio, nella sua espressione massima (Serie A e Champions), è ormai più industria che sport. Non si tratta dello stipendio milionario di CR7, si tratta di un indotto che parte dal magazziniere e finisce con lo steward, passando per giornalisti, autisti, tecnici, preparatori, fisioterapisti e tanti altri. Chi scrive è il primo a considerare una tristezza le partite nel silenzio tombale, e altamente ridicole le proposte di sostituire i tifosi con gli audio dei videogiochi.
Ma è così! Il calcio, almeno quello di altro livello, doveva ripartire.
Certo, tutti, anche i più autorevoli sostenitori dello stadio “virtuale”, sono coscienti che questa è una situazione temporanea e che, con tempi e modalità da decidere, bisognerà predisporre un piano per i prossimi mesi. Una roadmap della normalità sportiva, insomma.
E nel calcio la normalità è lo stadio aperto.
Ciò che però inizia a far storcere il naso sono le proposte che stanno accompagnando l’idea di questa riapertura. “Manca ancora un ultimo tassello: la partecipazione dei tifosi agli incontri. Spero sia possibile in tempi molto rapidi, mi auguro già ai primi di luglio”, il presidente della FIGC Gravina trasuda ottimismo. Qualche decina di giorni e poi potrebbe esserci il via libera per i tifosi. Per tornare a ripopolare gli spalti.
Piano con i facili entusiasmi: la riapertura non riguarderà però tutto lo stadio. Impensabile ammassare, anche se la pandemia fosse al crepuscolo, 60mila persone. Si parla, come per i cinema e i teatri, di ridurre la capienza fino ad un massimo consentito del 25% dell’intero stadio.
Quindi solo ¼ di disponibilità. Il discorso a questo punto diventa: chi entra e chi resta fuori? E qui casca l’asino. Le società infatti starebbero pensando già a chi favorire e a chi lasciare fuori. Non ci sono abbastanza scialuppe e, come nel Titanic, l’idea è sempre la stessa: si salva solo chi è in prima classe! Già perché l’idea che sta paventando nei board dirigenziali è quella di salvaguardare innanzitutto il tifo VIP.
Un vero e proprio schiaffo alla parte “popolare” del tifo, messa, come se non bastassero i continui aumenti di prezzo in questi anni, in ultimo piano. Quella che magari, di fronte alla volubilità di chi va allo stadio perché invitato da qualche sponsor o per farsi il selfie, davvero sostiene “sempre e comunque”.
Lo stadio è sempre stato una grandissima livella. Sugli spalti per 90’ le differenze tra il manager e l’operaio, tra lo scugnizzo e il chiattillo, si annullano. Per 90’ non ti definisce il cognome, quanto la tua vita sia stata spianata da esso, o il conto in banca. Ti definisce il tuo essere tifoso.
Certo ci sono settori e fasce di prezzo. Ma lo spettacolo è lì, aperto a tutti e a tutte le tasche.
Il circoletto di tennis potrebbe essere l’ennesimo schiaffo che l’èlite riserva al volgo. La dimostrazione che anche uno degli ultimi luoghi di livellamento scompare di fronte ad una società in cui puoi essere tutto (nessuno ti vieta di andare allo stadio ed essere tifoso), ma solo se hai i soldi per farlo (puoi esserlo solo se conosci lo sponsor o puoi permetterti un biglietto in tribuna VIP).
Per il volgo, per la plebe, c’è il calcio virtuale, il surrogato televisivo (anche qui lautamente pagato e non accessibile a tutte le tasche) di uno spettacolo che, per essere apprezzato nella sua interessa, non può prescindere dal momento aggregativo. Il sogno dello stadio-teatro potrebbe, causa restrizioni del Covid, dopo anni di battaglie dell’èlite pallonara avverarsi. Per la gioia di presidenti che fanno sogni bagnati sull’NBA e sui 150$ per tifare dall’ultimo anello LeBron prima che i Lakers.
Occasione poi, parole del Ministro dello Sport, anche per “fare pulizia” del tifo violento. Colpendo, come la semplificazione manichea della politica italiana ci ha sempre abituato, nel folto mucchio della Curva. Incuranti che nel micro-cosmo curvaiolo, di fianco a camorristi, fascisti e neo-nazisti ci sta un’assoluta maggioranza di gente per bene che, per scelta o per possibilità economiche, la partita la vede in quel settore.
Gente che non chiede altro, per 90’ di minuti, di non essere divisa per classe o per censo. Ma di essere considerata per quello che è: un tifoso.
Con buona pace di chi ha avuto il biglietto perché fratello del manager della Coca-Cola.
di Giancarlo Di Stadio
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