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Barcellona e la sottile differenza tra l’applauso e l’impresa in Europa

Il Napoli nell’era De Laurentiis ha trovato continuità nelle coppe europee, portato a casa risultati di spessore ma è mancata la grande impresa in molti casi sfiorata

È giusto sognare, crederci ma gli addetti ai lavori avrebbero dovuto ripetere all’infinito che Napoli-Barcellona è sempre Davide contro Golia a prescindere dal momento storico dei blaugrana. Invece no, il cortocircuito della demagogia è stato ossessivo e puntuali arrivano le critiche esasperate, fortunatamente isolate. Sono quelli che non hanno mai digerito l’esonero di Ancelotti, innamorati dell’idea che lo spessore di Re Carlo facesse fare il salto di qualità al punto da difenderla (qualcuno sommessamente, altri anche a gran voce) nonostante l’evidenza del disastro in cui la gestione di quel progetto ha fatto sprofondare il Napoli.

Il 17 giugno il Napoli ha vinto la Coppa Italia contro la Juventus di Sarri e Higuain, ha restituito emozioni e gioia ad un popolo afflitto da una stagione densa di delusioni in campionato, tenuto il Napoli in Europa e conquistato il diritto a giocare un altro trofeo (la Supercoppa Italiana) contro i bianconeri stavolta con Pirlo in panchina, forse l’unico ex sarà Baronio che in sette mesi ha cambiato la sua vita: dall’esonero da allenatore della Primavera del Napoli allo staff della squadra più vincente d’Italia.

La Coppa Italia ha salvato la stagione più disgraziata dell’era De Laurentiis, tra l’ammutinamento, l’applicazione esasperata del regolamento d’uso che ha svuotato lo stadio di passione, il Covid-19 e il lockdown. La premessa per gli smemorati è d’obbligo ma guai ad accontentarsi, il sogno di vedere il Napoli che compie un’impresa europea è da coltivare. Nell’era De Laurentiis gli azzurri in Europa hanno spesso raccolto gli applausi ma è mancata la grande impresa soprattutto in trasferta. Parliamoci chiaro: in Coppa dei Campioni/Champions League il Napoli in tutta la sua storia ha vinto sette partite lontano dal San Paolo, una con Maradona contro l’Ujpest e sei nell’ultimo decennio.

Dalle decisioni arbitrali alla rivoluzione dolce: il viaggio nelle “imprese mancate” tra passato e futuro

 

Gli intellettuali snob del dibattito calcistico storceranno il naso ma sarebbe riduttivo non partire da due argomenti “plebei”: la sfortuna nei sorteggi e le decisioni arbitrali. Un conto è oltrepassare il muro degli ottavi contro lo Shakhtar Donetsk come fece la Roma semifinalista o il Valencia nel caso dell’Atalanta, un altro è superare Chelsea, Real Madrid e Barcellona.

Ci sono poi le decisioni arbitrali che spostano perché il calcio è fatto così, si muove sugli episodi che cambiano le partite in un attimo. Non sapremo mai come sarebbe andata a finire a Barcellona senza il gol irregolare di Lenglet ma c’è la certezza che quella rete ha spezzato l’approccio autorevole del Napoli e dato fiducia a Messi e compagni.

La più grande occasione persa dal Napoli è la semifinale di Europa League contro il Dnipro, eravamo ancora nell’epoca pre Var e al San Paolo fu convalidato un gol agli ucraini in fuorigioco molto evidente. Il girone di ferro con Liverpool e Psg è l’unico campo di battaglia in cui si è assaporato il valore del generale Ancelotti durante l’esperienza napoletana. Nella partita decisiva di Anfield Van Dijk meritava l’espulsione nel primo tempo, nella parte finale della gara Callejon e Milik sprecavano il colpo del ko che avrebbe punito le tante occasioni fallite da Manè e compagni.

Il Napoli in Europa ha sempre raccolto gli applausi, non ha mai subito l’onta della goleada ma c’è una sottile differenza tra i complimenti degli avversari e l’impresa. Hanno sempre dominato i rimpianti delle occasioni fallite sotto porta dai tempi del salvataggio di Ashley Cole che negò il gol di Maggio del 4-1 in Napoli-Chelsea. Come fare per invertire la rotta? Nella prossima stagione c’è una potenziale occasione: tra le qualificate in Europa League ci sono solo Arsenal e Tottenham di spessore nettamente superiore al Napoli che deve guardare a questa competizione con grande attenzione.

C’è, però, un’analisi da fare: il Napoli vive un processo storico complesso, nel corso degli anni ha perso con le partenze di Hamsik, Higuain, Albiol, Jorginho spessore tecnico e di personalità e non l’ha sostituito nel modo giusto. Milik non è Higuain, il Napoli ha retto grazie all’intuizione Mertens centravanti, Demme e Lobotka non sono equiparabili al valore acquisito da Jorginho durante l’esperienza napoletana, Zielinski, Fabian Ruiz, Elmas sono giocatori molto interessanti ma il tanto “criticato” Hamsik è stato di un altro pianeta.

La rivoluzione dolce dall’era Sarri ad oggi non è completata, anzi è in una fase decisiva: occhio alle partenze di Callejon, Allan, Milik e, se dovesse arrivare l’offerta giusta, anche di Koulibaly.

Il Napoli non si faccia suggestionare dai nomi come fatto in occasione dell’acquisto di Manolas ma segua un piano: il progetto tecnico-tattico va messo al primo posto. La coerenza con la propria identità fa la differenza, l’estate 2019 senza unità d’intenti tra De Laurentiis, Giuntoli e Ancelotti ha fatto disastri.

Ciro Troise

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