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Assalto ai Mondiali ma poi è tutto da rifondare: dalla gestione Ventura ai settori giovanili

La disfatta di Madrid è la goccia che ha fatto traboccare il vaso ma i problemi già c'erano

Ai tempi della serie C la Curva B espose uno striscione “Assalto alla categoria” per caricare gli azzurri verso la promozione. Il messaggio di stasera potrebbe essere “assalto ai Mondiali” nella sfida contro la Svezia che vale tantissimo. Sarebbe clamoroso uscire fuori dalla competizione Fifa più importante dopo circa sessant’anni dall’ultima mancata qualificazione, inaccettabile che una Nazionale quattro volte campione del Mondo non partecipi a Russia 2018. L’auspicio è che nelle condizioni difficili l’Italia tiri fuori l’orgoglio che spesso ha animato le imprese più complicate, su tutte i Mondiali del 1982 e del 2006 ma in ogni caso la qualificazione non cancellerebbe la necessità di fare analisi.

Comunque vada è tutto da rifondare, senza perdere tempo, iniziando nell’immediato post-partita della sfida di San Siro. Ventura è stato abbandonato da Lippi alla guida della Nazionale, ha portato avanti il progetto tattico del 4-2-4 con tante sofferenze già prima d’avvertire il concreto rischio dell’eliminazione. La Spagna a Torino ha dominato per ampi frangenti della gara ma resta significativo lo striminzito successo dell’Italia in trasferta contro la Macedonia. La Nazionale con Ventura ha perso la caratteristica principale dell’era Conte: l’anima, l’identità, la capacità di essere squadra. Ognuno in campo parla il suo linguaggio, non c’è un progetto condiviso, un’idea di gioco, solo la voglia di andare al Mondiale a tutti i costi tiene unito il gruppo e ciò può non bastare.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è il ko di Madrid, al Bernabeu si sono sfasciate le piccole certezze della gestione di Ventura ed è sopraggiunto soprattutto l’incubo di non farcela, di entrare in negativo nella storia del calcio italiano. Dopo la scellerata scelta d’andare con il 4-2-4 in casa della Spagna, Ventura ha perso il controllo dello spogliatoio che ha cominciato ad autogestirsi per indicare la strada verso il Mondiale. I senatori hanno scelto il 3-5-2 e stanno cercando di trascinare il gruppo verso quella strada. Ne fa le spese Insigne, il miglior talento italiano, costretto in panchina o ancora peggio a fare il Salvatore della Patria, a prendere palla nella propria trequarti e a trascinarla verso la porta avversaria, come si fa con il più forte del gruppo nelle partite all’oratorio.

Comunque vada, la gestione Ventura non è più credibile, ma non basta mandare a casa il ct per dar vita alla rifondazione. L’overdose di stranieri che invade tutte le categorie del calcio italiano (anche le giovanili) è un ostacolo per la crescita del talento locale ma sarebbe troppo facile nascondersi dietro una tendenza che riguarda i principali campionati europei. La Premier League è ancora più esterofila della serie A ma l’Inghilterra ha conquistato il primo posto nel suo girone e il movimento è complessivamente in crescita, come dimostra la vittoria del Mondiale Under 17. La strada maestra è investire sui settori giovanili, sulle strutture e “svecchiare” una mentalità che rappresenta lo specchio dell’Italia.  Puntare sui vivai non significa comprare i diciassettenni in giro per il mondo ma lavorare sulla formazione tecnica. I club devono dimostrare al calcio italiano che ci tengono alla Nazionale non solo quando rischia di non andare ai Mondiali, senza la consapevolezza che il proprio microcosmo appartiene ad un mondo più grande non si va lontano. Come si fa ad impostare la Nazionale sui giocatori a fine ciclo? E’ possibile considerare Insigne, Jorginho e Florenzi ancora dei giovani? Ragazzi di spessore come Pellegrini, Chiesa, Barella quando potranno mettere piede in Nazionale? Guardate l’età media degli organici di Spagna e Germania e poi capirete che non c’è da rifondare un progetto tecnico ma anche la mentalità di un paese conservatore, bloccato, che non premia il talento e non ha fiducia nei giovani.

Ciro Troise

 

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