Carlo Ancelotti, allenatore del Napoli, ha risposto quest’oggi alle domande degli studenti alla LUISS nell’ambito del progetto Sport Luiss.
“E’ stata una giornata molto emozionante: mi sento molto in imbarazzo in Università!
Faccio solo quello che mi piace fare e che ho avuto la fortuna di fare. Continuo ad essere appassionato nonostante l’età abbia cambiato me ed il tempo abbia cambiato alcuni concetti di questo meraviglioso sport.
Sul problema razzismo in Italia:
Cerco di fare tutto quello che è possibile per tutelare questa passione e questo ambiente: il più sano che esista. Dopo 9 anni all’estero, ritornare in Italia è stato molto piacevole. Lontano dall’Italia ci sono tante problematiche: una su tutte è la lingua. C’è difficoltà nel trasmettere l’emozione piuttosto che la tecnica. L’estero è molto più avanti rispetto a noi. Il problema razzismo deve essere risolto: sarebbe stupido non farlo.
Sull’esonero e l’esperienza al Bayern:
Sono cresciuto tanto paradossalmente quando sono stato esonerato. Quando si viene allontanati, ci si può confrontare con se stessi. Un allenatore deve tenere conto che c’è la gestione della squadra, e dell’esterno. A Monaco c’è stato uno scontro, non con i giocatori – nonostante le tante storie uscite fuori- ma sulla filosofia. Io credevo che il Bayern dovesse cambiare filosofia e giocatori ma ciò si è scontrato con quanto detto dalla società. E’ stato giusto chiuderla lì.
Sul Napoli e la sua posizione nel calcio italiano:
Il Napoli non si trova in alcun limbo: in Italia è secondo soltanto alla Juventus. E’ da anni al vertice del calcio italiano e tra le prime squadre d’Europa. Investe in base a quanto ricava: ci sono delle regole europee che ti impongono di fare questo. Se sono andato ad allenare qui è perché condivido ed accetto questo progetto. C’è desiderio di investire sui giovani e siamo vicini ad ottenere dei risultati sportivi importanti.
Sul movimento italiano ed i limiti del tifo negli stadi:
In Italia c’è grande attenzione alla tattica e ciò ti fa pensare molto. La grossa differenza è per le infrastrutture ed a livello ambientale. In tutta Europa gli stadi sono stati rinnovati. Solo in Italia ci sono sussulti di ignoranza e di male educazione. Inghilterra, Germania e Francia sono avanti da questo punto di vista. Bisogna migliorare e non poco!
Ogni campionato ha le sue caratteristiche, il calcio si sta però globalizzando. E’ difficile parlare dunque di calcio all’inglese o all’italiana. C’è la tendenza in quest’ultimo periodo a costruire gioco, è difficile trovare il calcio difensivo. Anche le piccole provano sempre a creare qualcosa. Il futuro del calcio sarà nel ritornare un po’ indietro. Se i giocatori che toccano di più il pallone sono i portieri ed i difensori c’è qualcosa che non va: l’obiettivo è buttarla dentro!
Si diceva spesso dalle mie parti: “Palla lunga e pedalare”.
Sulle statistiche nel calcio:
La statistica è un argomento di attualità ma si potrebbero fare delle obiezioni. Le statistiche vanno sempre interpretate, ovviamente. Il Napoli è una squadra che nel volume globale di corsa, corre meno degli altri. La condizione atletica degli altri non influisce più di tanto. A me interessa l’intensità dei calciatori, le statistiche fisiche vanno dunque interpretate. Costruiamo i nostri allenamenti sull’analisi dei dati fisici ma ho molte perplessità sull’utilizzo del dato per la valutazione individuale del calciatore. Con l’evoluzione degli algoritmi stiamo testando una nuova tecnologia che ti dice se il giocatore fa il passaggio giusto o quello sbagliato: potrebbe essere una rivoluzione.
Sulla stampa ed il nuovo linguaggio del calcio:
Il calcio è cambiato ed è cambiato anche il suo linguaggio. La concezione della stampa è mutata con il passare del tempo ed è diversa anche tra Paese e Paese. Il rapporto con la stampa ora è molto più distaccato, prima era più intenso. L’attenzione ed il focus mutano da Paese e Paese. In Inghilterra sono più incentrati al gossip che alla formazione o ad informazioni di questo genere.
Sulla Nazionale:
Ho avuto un contatto in questo periodo l’anno scorso dalla Nazionale. A me piace stare sul campo ed allenare tutti i giorni. Avevo parlato con i dirigenti della Nazionale ed avevo espresso i miei desideri e le mie volontà. Qualche giorno dopo il ‘no’ alla Nazionale, si è presentata l’occasione Napoli e l’ho colta al balzo.
Sulle esperienze in carriera e sul figlio Davide:
Liedholm è stato un buon maestro ma non posso dire di aver imparato da lui ad allenare. Ho formato il mio carattere con tanti allenatori nel corso delle mie esperienze. Ho preso qualcosa da lui sicuramente, così come da altre persone e da mio padre. Cerco di trasmettere questi valori a mio figlio, che è un ottimo allenatore ed ha avuto la possibilità di fare esperienza. È molto bravo (si commuove ndr).
Sul carattere calmo e riservato:
Mi hanno sempre detto che sono un tipo calmo e ciò alle volte può rappresentare un limite. A volte mi chiedono più cattiveria. Sono cresciuto con questo tipo di carattere, se facessi altro non sarei credibile nei confronti degli altri. La credibilità in un rapporto, che sia tra genitore e figlio o allenatore e giocatori, è tutto! A chi mi dice di usare la frusta rispondo di cercare altri allenatori.
Su come gestire il gruppo:
L’aspetto psicologico è senza dubbio il più complicato da gestire con un calciatore. I giocatori vogliono sempre giocare: quando si danno le formazioni, undici giocatori su 24 sono contenti e gli altri quattordici no. Il rapporto con lo staff è molto importante. Il fisioterapista, il dottore ed il magazziniere possono comprendere meglio di me lo stato d’animo del calciatore. Il turnover da questo punto di vista è molto importante: fa sentire ogni calciatore apprezzato e considerato.
I giocatori di oggi sono sempre seri e professionali, sono migliorate le tecniche di allenamento e di prevenzione e questi si curano di più. Il giocatore più bravo è spesso quello più serio e professionale: non gli devi dire tante cose su quello che deve fare. Già sa come muoversi.
Sul cambiare la filosofia di gioco azzurra:
Tutti i calciatori del Napoli hanno dato disponibilità a cambiare gioco, se si sentono coinvolti hanno sempre voglia di provare qualcosa di nuovo. Se c’è il coinvolgimento, va sempre bene. Da Hamsik a Callejon c’è stata sempre grande disponibilità da parte di tutti.
Quando ho cominciato io il gruppo squadra era molto piccolo dal punto di vista numerico. Da 20 addetti siamo passati a 50. Alla base di tutto c’è il rapporto con la persona, non con il calciatore o il medico. Io non sono un allenatore, io faccio l’allenatore. Mi piace dare un rapporto di pari livello, che non significa stare sopra o sotto. E’ fondamentale in un gruppo di lavoro che tutti siano coinvolti, da Cristiano Ronaldo all’ultimo dei magazzinieri. Per coinvolgere tutti bisogna avere la forza di delegare.
Il lavoro dell’allenatore non cambia, quello che cambia è il contorno da Paese e Paese. A livello di pressione il Real Madrid è il club numero uno per distacco. In generale sono state tutte grande esperienze indimenticabili. Sono stato al Milan 8 anni e voglio battere questo record con il Napoli!
Come preparo le partite importanti?
I calciatori vengono fermati di solito dall’ansia e dalla paura, non dalla preoccupazione. Anche io sento le partite importanti. Se vado a fare un esame e sono preparato, mi sento convinto e motivato e non devo avere paura. Quando c’è una finale, la mia chiave è non focalizzarsi sui singoli avversari. Bisogna fare spiegazioni che siano costruttive e non distruttive: l’ho imparato sulla mia pelle. Sacchi, che è un allenatore formidabile proprio per questo, ti spiegava per filo e per segno quello che voleva da te sul campo.”
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