Quando pensi al Leicester inevitabilmente la mente ritorna al 2016, al Dilly Dong di Ranieri e al miracolo di un titolo che ha dell’incredibile. Una stagione irripetibile che, dopo anni di dominio delle solite note, ha portato in Premier una ventata di “aria fresca”. Ancora oggi, a distanza di ormai un lustro, il successo della banda di Ranieri, capace in un solo anno di passare dalla salvezza stentata al titolo di quello che è considerato il campionato migliore al mondo, è utilizzato come metro di paragone per elogiare il sistema della Premier, con la sua distribuzione “equa” dei diritti tv e il conseguente livellamento verso l’alto che permettono di sognare, e i sistema juve/milano-centrici o madrid/barcelona-centrici che invece hanno reso Serie A e Liga quasi un giardino privato dei soliti noti (peraltro straindebitati).
Ma ridurre il Leicester ad un miracolo estemporaneo è ingeneroso. Le Foxes infatti, ad un occhio più attento, possono essere considerate l’esempio di come un’annata fantastica possa essere un trampolino di lancio per un progetto serio e interessante. E che non bisogna “tirare e campare” confidando sempre e soltanto sull’aleatorietà del risultato sportivo e sulle plusvalenze, ma che la fortuna più essere la base per costruire qualcosa che vada oltre un piazzamento fortunato.
Infatti le Foxes, dopo aver sfiorato una nuova qualificazione Champions, al momento sono detentori della prestigiosissima FA Cup e hanno appena fatto lo scalpo al quotatissimo City in Community Shield. Insomma, oltre il miracolo del 2016 c’è di più…
Storia
La storia del Leicester prima degli ultimi anni è sempre stata all’insegna di una squadra di media fascia, che ha alternato periodi di buon rendimento a diversi saliscendi tra prima e seconda serie.
Club di provincia che ha fatto delle promozioni/retrocessioni tra First e Second Division la sua costante, negli anni ‘20 le Foxes arrivarono a sfiorare il titolo concludendo ad un solo punto dallo Sheffied Wednesday. Dopo due decenni di mediocrità, la spinta dei gol di Arthur Rowley (44 marcature in una sola stagione!) portò il Leicester a due finali di FA Cup, entrambe perse.
Se gli anni ‘60 furono avari di successi in campionato e in FA Cup, la Coppa di Lega fu foriera invece di sorrisi. Accanto a due finali perse, che alimentarono la fama del Leicester come squadra col braccino del tennista, arrivò finalmente il primo trofeo nel 1964 ai danni dello Stoke City.
Gli anni ‘70 si aprirono con un incredibile successo: il Charity Shield (attuale Community Shield, ovvero quella che in Italia chiamiamo la Supercoppa). Nonostante le Foxes erano neopromosse furono chiamate, in qualità di campioni della Second Division, in sostituzione del rinunciatario Arsenal. Contro ogni aspettativa riuscirono a battere il Liverpool, mettendo così in bacheca il secondo, e per molto tempo ultimo, trofeo.
Di lì in poi per le Foxes fu un continuo saliscendi tra First e Second Division. Nemmeno la presenza in rosa di Gary Lineker, ceduto troppo presto all’Everton, invertì la rotta. Il Leicester dovette infatti aspettare l’arrivo in panchina di Martin O’Neill per tornare a vedere un po’ di luce. La seconda metà degli anni ‘90 portò alla squadra altre due Coppe di Lega.
L’addio di O’Neill coincise però con un nuovo periodo buio che si materializzò con al retrocessione nel 2008 in League One, la terza serie del calcio inglese. Per la prima volta nella loro storia le Foxes uscivano dal giro delle prime due serie. Fortunatamente il purgatorio durò poco, infatti la pronta risalita fu accompagnata dalla vera e propria sliding doors della storia del Leicester, l’ingresso del gruppo King Power tra gli azionisti e l’arrivo di Vichai Srivaddhanaprabha alla presidenza.
Sotto la nuova gestione il Leicester avviò un deciso progetto di rinnovamento che portò le Foxes nel giro di un qualche stagione nuovamente in Premier League. Dopo una salvezza stentata eccoci al 2016, l’anno del miracolo. Inutile raccontare l’impresa di Ranieri nel portare il titolo, venti anni dopo il Blackburn, nella periferia calcistica inglese. Interessante invece notare il dopo.
Opinione comune era che il Leicester fosse un fuoco di paglia, che il 2016 fosse un qualcosa di irripetibile. E in effetti sulle prime sembrò così. Per un paio di stagioni la squadra è tornata a navigare nella parte medio bassa della classifica. Ma in silenzio, lontano dai riflettori, il Leicester stava sfruttando le basi di quell’insperato successo per costruire un qualcosa di solido e duraturo.
Dopo la tragica morte di Vichai Srivaddhanaprabha e il passaggio del timone nelle mani del figlio Aiyawatt, le rinnovate ambizioni del Leicester hanno preso forma. Acquisti mirati, investimenti fatti con criterio, la scelte di un tecnico giovane e con idee chiare come Brendan Rodgers hanno portato le Foxes a contendere alle ricche a blasonate Big 6 l’accesso in Champions e a strappare loro ben due trofei (la FA Cup e la Community Shield nell’arco degli ultimi 4 mesi).
Rosa
Facile citare Jamie Vardy, l’eroe del 2016 ormai diventato bandiera a tutti gli effetti delle Foxes. Con lui, reduci dal titolo di Premier, anche il portiere e capitano Kasper Schmeichel e il centrocampista Mark Albrighton. Il resto, dopo il recente ritiro di Wes Morgan, è una squadra che negli anni ha saputo sapientemente rinnovarsi, vendendo bene e comprando meglio.
Così sono arrivati calciatori del calibro di Iheanacho, ex City e compagno di squadra di Osimhen in nazionale, Tielemans, Maddison, Ricardo Pereira. Giocatori che la sapiente mano di Brendan Rodgers ha saputo forgiare in un’identità di gioco di assoluto valore.
La rosa, al netto dell’exploit inaspettato, è decisamente più completa e talentuosa rispetto a quella del miracolo del 2016. Allora il Leicester era un’outsider composta da giocatori in cerca di riscatto o in rampa di lancio. Adesso è un ottimo collettivo che non ha nulla da invidiare ad altre squadre a ridosso delle Big 6.
Allenatore e formazione
Dopo l’incredibile titolo perso nel 2014 Brendan Rodger, capito che il suo ciclo al Liverpool si stava concludendo con applausi ma pochi successi, ha avuto l’umiltà e l’intelligenza di ripartire fuori dalla Premier. Dopo un triennio ricco di successi al Celtic, il Leicester ha visto in lui il modo migliore per dare seguito a quel progetto post titolo che Claude Puel sembrava non essere in grado di far decollare.
Identità di gioco e qualità degli interpreti sono le chiavi del successo di questo nuovo Leicester. Un 4-2-3-1 che riesce a coniugare gioventù ed esperienza. Accanto ai due senatori Vardy e Schmeichel, portiere e terminale d’attacco, Rodgers ha costruito un o scheletro solido: Thomas, Soyuncu, Amartey e Pereira solitamente compongono la linea a quattro di difesa. Mediana che passa dai piedi e dai polmoni di Ndidi e Tielemans, pronti a supportare il terzetto dietro Vardy: Barnes, Maddison, Perez. Pronti a subentrare, frecce all’arco di Rodgers, i vari Iheanacho, Praet, Soumarè.
Stadio
Il Leicester City Stadium, chiamato per ragioni di sponsorizzazione King Power Stadium, è la casa delle Foxes dal 2002. Impianto moderno, funzionale, nel tipico stile inglese contemporaneo, può ospitare fino a 32mila tifosi. È altresì la casa dei Leicester Tigers, celebre club di rugby cittadino. In precedenza le Foxes avevano giocato per oltre un secolo nel celebre ed iconico Filbert Street.
Tifoseria
Nonostante il Leicester sia l’unico club cittadino, e che quindi convogli tutto il tipo della città e della zona, l’ubicazione nelle East Midland ha fatto si che le Foxes trovassero diversi “rivali” nella zona.
Particolari rivalità ci sono con il Derby Country e con il Notts Forrest, ma soprattutto con il Coventry. Mentre match comunque accesi vedono protagoniste le Foxes e altre squadre della regione come il Birmingham e l’Aston Villa.
A cura di Giancarlo Di Stadio
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