“Occorre che la giustizia ordinaria faccia il proprio corso con la massima serenità. Mi sembra che l’Antimafia stia facendo un processo molto mediatico” Così si è espresso il direttore generale della Figc Michele Uva a proposito delle indagini della commissione Antimafia sui rapporti tra Andrea Agnelli, presidente della Juventus, e alcuni esponenti del tifo organizzato bianconero che, secondo alcune indagini, sarebbero legati all’ambiente della criminalità organizzata.
Ma andiamo con ordine, perché prima di addentrarci nel merito della vicenda occorre fare alcune precisazioni. Innanzitutto dobbiamo distinguere tra giustizia ordinaria e giustizia sportiva. I due tipi di giustizia, oltre ad avere norme diverse, viaggiano su due binari paralleli. La giustizia ordinaria ha tempi dilungati, quella sportiva, essendo legata giocoforza al calendario sportivo, segue altri tempi, spesso molto più rapidi. C’è poi la questione della presunzione d’innocenza: come ben sapete nella giustizia ordinaria si è “innocenti fino a prova contraria” e, in un certo senso, tocca all’accusa dimostrare “oltre ogni ragionevole dubbio” che l’imputato è colpevole, cosa leggermente diversa nella giustizia sportiva dove il compito più gravoso spetta invece alla difesa.
La vicenda che stiamo prendendo in esame, quella dei presunti rapporti tra il presidente della Juventus e la ‘Ndrangheta, nella persona di Rocco Dominello, prende piede nel momento in cui emergono legami tra il gruppo ultras bianconero dei Drughi e la ‘Ndrangheta riguardo il controllo della vendita dei biglietti per le partite casalinghe della Juventus. L’inchiesta penale tenta di scoprire se Andrea Agnelli avesse incontrato alcuni esponenti del tifo organizzato bianconero e soprattutto se fosse cosciente di chi fossero e dei loro legami con la ‘Ndrangheta.
Dopo anni di indagini il presidente della Juve viene scagionato dall’inchiesta penale. Nel frattempo anche la giustizia sportiva avvia la sua indagine, ed è proprio durante una delle udienze che Giuseppe Pecoraro, procuratore federale, rivela l’esistenza di un’intercettazione in cui Agnelli ammette implicitamente di essere a conoscenza della pericolosità di Dominello. Intercettazione confermata anche dal presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi. Il problema è che, solo pochi giorni prima, il legale della Juventus aveva escluso categoricamente che Agnelli fosse a conoscenza dei legami di Dominello con la criminalità organizzata. Insomma, dal punto di vista giuridico, sia ordinario che sportivo, un bel casino culminato nelle false dichiarazioni, stando almeno a quanto rivelerebbero le intercettazioni, del legale bianconero circa la totale estraneità di Andrea Angelli.
La dichiarazione di Uva e l’attacco, nemmeno tanto velato, alla Procura Antimafia arrivano quindi in un contesto in cui ci sono più ombre che luci, dove inizia ad emergere l’esistenza di contatti tra Agnelli e Dominello. E soprattutto che Agnelli sapeva benissimo chi fosse Dominello e che fosse un tipo, per così dire, poco raccomandabile. Lungi dal voler fare i giustizialisti a priori o gli ultras del garantismo, cosa che non ci compete, bisogna però notare come il calcio italiano, anche in questa situazione, si dimostri sempre più malato e incapace di uscire da quella spirale di decadenza che, da un bel po’ di anni, sembra attanagliarlo.
L’estrema gravità del gesto di Uva, più che nella difesa di Agnelli, che pure appare quantomeno strana e fuori luogo, sta nelle critiche alla Commissione Antimafia ed è esemplificativo di un problema che il calcio italiano fatica a risolvere. Di per se gli incontri tra un presidente e esponenti del tifo organizzato non avrebbero nulla di male, ma se essi sforano l’ambito calcistico e coinvolgono altri problemi del paese richiederebbero quantomeno una stigmatizzazione di rito, non una presa di posizione a prescindere a favore e in difesa di un determinato presidente.
E’ poi interessante notare come quegli stessi incontri tra dirigenti ed ultras, anche quanto non travalicavano l’abito sportivo e sfociavano nel criminale, siano stati, in molti altri casi, sempre criticati, come se i presidenti dovessero prendere obbligatoriamente le distanze dal mondo del tifo “violento”. Critiche che, davanti ad Agnelli che incontra Dominello e con il sospetto che egli sapesse chi fosse Dominello, si trasformano in garantismo a priori. Logicamente tutti noi ci auguriamo che la vicenda si riveli la classica bolla di sapone in quanto, al di là delle antipatie sportive verso una squadra, una vicenda del genere è una pessima pubblicità per il nostro movimento calcistico. Un movimento che, negli ultimi venti anni ha già vissuto scandali doping, passaporti falsi, un paio di inchieste per calcioscommesse e soprattutto tutta la vicenda Calciopoli.
Negare però a priori che possa esserci un problema e addirittura arrivare a criticare un’istituzione come la Commissione Antimafia non aiuta né il calcio né il paese in generale. Anzi, rende ancora più evidente come l’intero sistema calcistico italiano sia un palazzo fatiscente a cui, ogni tanto, si cerca di dare una mano di vernice alle pareti esterne. Perché se la Figc inizia ad utilizzare la parola “processo mediatico” è normale che il circo dei giornalisti-ultras comincia a dar vita al suo spettacolo.
La difesa o la critica a priori non fanno bene ad una vicenda che potrebbe rivelarsi più oscura e problematica del previsto e che, invece di generare una sana riflessione su di un mondo che forse s’è spinto “troppo oltre”, finisce per creare le solite discussione da bar con i supporters bianconeri che, a dispetto di ogni possibile futura evidenza, iniziano già a millantare complotti per fermare la loro “invincibile” squadra. Il revival dei commenti post-calciopoli, con tifosi che, a distanza di un decennio, sono ancora convinti dell’esistenza di un complotto del duo Rossi-Moratti per frenare l’ascesa della Juve nell’olimpo del calcio mondiale, rischia di inquinare ancora di più un calcio malato sempre più incurabile.
Mettiamoci inoltre che in un ambiente in cui il presidente della Lega di A lavora per la banca creditrice della Figc, che lo stesso Agnelli, tramite FIAT ed Eurovita, sponsorizza la Figc e l’AIA e nel quale il proprietario di uno dei maggiori club del paese è anche proprietario di una delle due pay-tv che pagano i diritti tv all’intero calcio italiano le parole di chi rappresenta il massimo organismo calcistico si prestano facilmente ad essere usate come arma da coloro che si trovano dall’altra parte della barricata e che aspettano queste vicende per criticare, a torto o ragione, la Juve.
Insomma, le dichiarazioni e soprattutto la copertura tendenziosa da parte di alcuni giornali non fanno altro che alimentare una guerra tra guelfi e ghibellini che, come al solito, e come accaduto in parte dopo Calciopoli, rischia di “buttare in caciara” l’ennesima occasione che ha il calcio italiano per poter fare i conti con se stesso. Ma fino a quando il dibattito anche mediatico su questa vicenda, resterà una questione tra il partito del “la Juve ruba” e quello del “Rosicate, siamo i campioni dell’universo!!!!”, l’intera vicenda degli Agnelli, dei loro presunti rapporti con alcuni esponenti della criminalità organizzata e del perverso meccanismo di infiltrazione nelle tifoserie, resterà solo l’ennesimo capitolo di un libro sui problemi del calcio italiano che nessuno ha il coraggio (o la volontà) di leggere seriamente!
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
Condividi:
- Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per condividere su Ok Notizie (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per inviare un link a un amico via e-mail (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pocket (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra)
- Altro