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Volpecina: “Un tricolore in azzurro vale cento vittorie altrove”

“Oggi amo lavorare con i giovani. Il mio erede? Christian Maggio”

Quando un sogno lo hai inseguito per sessantuno, lunghissimi anni, rischi di non riuscire a riconoscerlo quando te lo ritrovi di fronte. Come un sole che spunta scalando la cima più  alta e ti colpisce con tutta la sua forza, come un arcobaleno che disegna nel cielo quel tricolore che finalmente potrai fregiare sulla tua maglia. Ascoltando le parole di Giuseppe Volpecina, laterale del Napoli scudettato nella stagione 1986-87, ti rendi conto di quanto quel traguardo sia stato importante per una città che, da tempo, aveva voglia di fare una  festa come si deve. Erano gli anni di Diego Armando Maradona, delle grandi sfide alle big del nord e di un San Paolo gremito ben oltre la propria capienza: 

“Era incredibile l’entusiasmo che c’era per ogni partita – racconta un emozionato Volpecina – c’erano sempre ottantamila persone a seguirci”.

Partiamo dall’inizio. Come è arrivato in quel Napoli?
“Ci sono arrivato dopo tanto lavoro. Avevo vinto il campionato Primavera con gli azzurrini ma poco dopo fui girato in prestito al Palermo. Ogni anno doveva essere l’anno buono per tornare al Napoli ma la chiamata non arrivava mai. In rosanero ci sono rimasto quattro anni, ma devo dire che  sono stati comunque momenti meravigliosi. Da lì fui girato al Pisa, venni da avversario al San Paolo e riuscimmo anche a battere gli azzurri. Nella stagione 86-87 arrivai finalmente al Napoli. Quando gli altri ragazzi della Primavera venivano richiamati mi “incazzavo” perché non riuscivo a convincere la società a riportarmi in azzurro. A distanza di anni credo fosse quasi un disegno divino, perché mi sono trovato nel posto giusto al momento giusto…”.

Cosa ha rappresentato quello scudetto per Napoli?
“Sono passati oltre venticinque anni ed ancora non riesco a capirlo. E’ qualcosa di indescrivibile, una soddisfazione immensa per tutti. Vincere un tricolore in azzurro equivale probabilmente alla vittoria di cento scudetti in qualsiasi altro posto”.

In quella squadra c’era un certo Diego Armando Maradona…
“Da bambino mi hanno sempre entusiasmato certi tipi di giocatori, trovarsi con uno che andava oltre ogni possibile spiegazione razionale era qualcosa di magico. Allenarsi con lui, giocare con lui era sempre incredibile. Riusciva sempre a far rendere tutti al meglio,  con quella sua capacità di fare del pallone quello che voleva. Avrei pagato per giocare con Diego, invece mi pagavano addirittura per farlo… Cosa volere di più?” .

C’è una data impressa a marchio nella storia sua e degli azzurri: cosa le ricorda il 9 novembre 1986?
“Ovviamente il 3-1 sul campo della Juventus, con un mio gol che chiuse la gara. In vista di quel match Bianchi scelse una formazione più accorta e decise di farmi partire dalla panchina. Nella ripresa entrai quando vincevamo 2-1, con la Juve che spingeva per il pari. La razionalità avrebbe imposto di mantenere sempre la posizione, ma nella mia follia provavo comunque ad affondare sulla fascia per trovare il varco buono. Ebbi una prima occasione che sprecai malamente. La seconda volta feci gol. E fu un delirio. Dopo quella gara avremmo la conferma di essere più forti degli altri in quella stagione”.

Proviamo a raccontare ad a chi non c’era cosa accade in città al momento della vittoria dello scudetto.
“È’ impossibile! Ci sono cose che sono davvero incredibili. Ricordo che impiegammo un’eternità per raggiungere lo stadio con il pullman della squadra. La strada era completamente bloccata, nemmeno le persone che erano a piedi riuscivano a passare.  Ecco che allora i tifosi iniziarono a camminare sopra alle automobili, un qualcosa di indescrivibile. E’ una scena che non dimenticherò mai…”.

Sulla panchina di quel Napoli c’era un burbero come Ottavio Bianchi. Quanto ha influito nel successo finale?
“Credo che il suo lavoro sia stato fondamentale. Dentro di se ha sempre saputo che  potevamo vincere qualcosa di importante in quell’anno, ma in una piazza così calorosa lui riteneva di dover assumere un certo tipo di atteggiamento proprio per evitare che ci si esaltasse troppo. Anche dopo le vittorie più importanti riusciva a mantenere quella lucidità  e quella freddezza che erano fondamentali per tenere la giusta rotta verso l’obiettivo finale”.

E Volpecina ha mai pensato ad un futuro da allenatore?
“Onestamente mai. Bisogna avere un carattere perfetto per andare d’accordo con tutti i calciatori e non era proprio una strada per me. Ho preferito dedicarmi al settore giovanile,  andando alla ricerca di nuovi talenti”.  

Torniamo un attimo su Maradona: ma è vera questa storia che saltava spesso gli allenamenti?
“Tutto falso. Diego era uno che faceva  gruppo in modo eccezionale e questa storia che si allenava poco non è vera. Nell’anno in cui ero al Napoli avrà saltato un solo allenamento in  tutta la stagione. In quella stagione era il più forma di tutti, era davvero devastante. Aveva voglia di vincere anche a Napoli, dopo aver trascinato l’Argentina alla vittoria del Mondiale in Messico”.

Dal passato al presente: chi è il calciatore che più le assomiglia nel Napoli attuale?
“Credo che per caratteristiche quello  che più si avvicina a me sia Christian Maggio, anche se lui è un destro mentre io sono mancino. Un fluidificante con grande capacità di corsa e resistenza. E’ un ruolo difficile il nostro, devi dare sempre più degli altri in campo perché devi fare al massimo le due fasi”.

E quelli che la entusiasmano maggiormente?
“Sono innamorato di molti giocatori di questa squadra. Cavani, ad esempio, è veramente un fenomeno. Non mi spiego  come faccia a tenere certi ritmi in campo ed a mantenere la sua lucidità sotto porta. Un altro che mi piace tantissimo è Hamsik, ha tutte le  caratteristiche del grande campione: calcia di destro, di sinistro, ha visione di gioco e può ricoprire qualsiasi ruolo”.

Su Cavani sono tante le voci di mercato…
“Chiaro che se uno diventa uno dei migliori attaccanti al mondo inizia ad avere la voglia di vincere qualche cosa di importante. Non credo sia una questione economica, quello che resta nella carriera di un calciatore è quel momento in cui può finalmente dire di essere arrivato davanti a tutti. Ci saranno tante richieste per lui, se un giorno dovesse chiedere di andar via lo capirei perché un atleta vuole vincere. La mia speranza, chiaramente, è che possa iniziare a farlo con la maglia azzurra. Bisogna però iniziare a sprecare meno occasioni ed essere più concreti”.

Magari già da questa stagione…
“Sicuramente. La Juventus in molte occasioni ha perso punti dopo le gare di Champions League e la squadra di Mazzarri non è stata capace di approfittarne. Sono convinto che ci saranno ancora occasioni perché l’impegno europeo perderà ancora qualche colpo. È  qualcosa di fisiologico”.

Oggi Giuseppe Volpecina si gode la sua famiglia ma non ha abbandonato  la passione per il calcio, dedicando parte del suo tempo alla ricerca di nuovi talenti. Alcuni di questi giocano nelle giovanili del Napoli.
“Natale, un classe ’98 che gioca con i giovanissimi, e Russo che è un ’99 – ci dice orgoglioso l’ex azzurro.

Nella sua parete dei ricordi ci colpisce una foto con un ragazzino…
“E’ Cosimo La Ferrara, è un classe ’98 che in estate è passato al Milan di lui sentiremo parlare molto”. Parola di Volpecina. 

Fonte: Tuttomercatoweb Magazine

La Redazione

M.V.

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