L’Europa, che sia quella dalle grandi orecchie o la sua cugina più snella nata nel 2009, è l’ambizione di una stagione, routine per qualche eletto, sogno per altri, conquistarla è sintomo che si sta procedendo nel modo giusto, che la rotta che si sta intraprendendo è quella corretta e che si sia a bordo di una crociera, di un vascello fantasma, di un catamarano o di un semplice gozzo a remi il sogno di poter toccare con mano, prima degli altri, la meta non va negato a nessuno, anche perché la storia ci ha raccontato questo, che delle volte non basta aver l’equipaggio più preparato ma anche seguir le correnti giuste. Si rischia però di non esser addestrati abbastanza e di venir risucchiati dal vortice dei risultati. In Italia, si sa, abbiamo deciso di dare importanza solo all’Europa “più grande” finendo costretti poi a dover ridimensionare un porto, improvvisamente troppo stretto per poter accogliere imbarcazioni dirette alle mete più ambite, a dispetto dei tedeschi che evidentemente proprio da noi, paese di santi, poeti e soprattutto navigatori, hanno appreso, imparato ed eseguito al contrario di chi si è guardato per troppo tempo allo specchio, vantandosi delle sue gesta con smisurato egocentrismo e non preoccupandosi dei progressi degli altri. Le mete che ci spettano adesso sono meno ambite ma certamente non poco tortuose. Ma sempre d’Europa si tratta che, come le sirene di Ulisse, infatua ogni equipaggio incurante dei sacrifici e delle fatiche che dovrà affrontare. L’Europa, croce e delizia, arricchisce di fama, di notorietà, di prestigio e perché no anche di tesori ma lascia ferite, a tratti profonde, nel corpo e nell’anima. L’esempio è proprio il Napoli che si trascina gli strascichi di un vortice chiamato Bilbao con ferite nello spirito che ricorrono spesso negli incubi degli azzurri e che come sabbie mobili avvolgono ed imprigionano le gambe, il corpo, col peso di un fallimento a gravare sull’insostenibile leggerezza dell’essere una squadra che molti davano come favorita e che è improvvisamente divenuta nemica di se stessa. C’è chi ride e c’è chi piange, quindi. Dura lex, sed lex quella dell’Europa che non risparmia nessuno, si salvano le potenze delle proprie nazioni, ma neanche poi tutte, Roma e Juventus, come Barcellona e Real Madrid, esercitano la loro superiorità nelle acque territoriali, quasi una tirannia che non lascia scampo alle avversarie, arrancano PSG e Bayern, affondano le inglesi.
Chi piange…
Non se la passano bene le italiane dell’altra Europa. Perdono Napoli e Torino contro Udinese e Verona, pareggia l’Inter in casa del Palermo, una neopromossa, l’unica a vincere è la Fiorentina, a Bergamo, contro l’Atalanta che si infrange contro la sfortuna che ha il volto carioca del portiere viola Neto. L’equipaggio di Benitez sembra alzar bandiera bianca prima ancora di cominciare, affondato dall’esasperato turnover del tecnico spagnolo e dal mal di vincere che affligge gli azzurri da più di un mese, figlio dei dubbi, dei sussurri, delle incertezze, delle incomprensioni di un ambiente che sta facendo di tutto per autodistruggersi. Cade il Torino dalle polveri bagnate, privato delle sue armi d’assalto, Immobile e Cerci, migrati in luoghi lontani, mal sostituiti da chi il campo era abituato a vederlo da seduto, pochi metri più in la del terreno di gioco, Quagliarella e Amauri, nobili decaduti del calcio che conta a cui, ad oggi, è rimasto solo il nome. Rischia l’Inter, salvata dal nuovo genio calcistico di Kovacic, ma perde l’occasione di restar lì, a due punti dalle battistrada Juventus e Roma, quasi un copione calcistico già visto nella storia del suo allenatore, Walter Mazzarri, a cui fino ad oggi è sempre mancato il passo decisivo per diventare grande, scivolando costantemente all’ultima curva. Va male anche ad una parte di Spagna, l’Athletic Bilbao vede violato il fortino del San Mamès, è il modesto Granada a spegnere L’Inferno dei Vivi che appena un mese fa sembrava inespugnabile. L’Atletico Madrid del Cholo Simeone non va oltre il 2-2 casalingo contro il Celta Vigo, figlio della giocata dell’anno di Hernandez, un goal al volo di tacco che resterà marchiato col fuoco nei ricordi degli spettatori del Vicente Calderon, e delle ferite Champions della sconfitta greca che han portato con se Mario Mandzukic, ko per la frattura al naso. Va malissimo la Francia europea, non basta Cavani al milionario PSG che fatica e alla fine pareggia, in casa contro il Lione, con un goal di Umtiti. Pari senza segnare per il Montpellier contro il Lille, perde il Guimgamp in casa dell’altra collega d’Europa, il Monaco, ridimensionato dalle cessioni illustri di James Rodriguez e Radamel Falcao a Real Madrid e Manchester United, col risultato di 1 a 0. Va persino peggio in Inghilterra dove su sei squadre una sola riesce a vincere, perde il Liverpool per 3 a 1 in casa del West Ham. Gli uomini di Rodgers non possono più contare sulla brillantezza dello scorso anno quando senza coppe arrivarono ad una scivolata di Gerrard dalla conquista della Premier League, la manovra è meno fluida e anche in Champions non mancano le difficoltà, la vittoria per 2 a 1 ad Anfield contro i bulgari del Ludogorets giunta quasi allo scadere su un errore del portiere Borjan è più di un semplice indizio. Pareggiano Manchester City e Chelsea, avversarie all’Etihad, è la giornata del core ‘ngrato Frank Lampard, una vita da capitano Blues, autore di un dramma emozionale nel tardo pomeriggio di domenica della Manchester che in questo momento conta di più, perchè è il City la nuova regina dei Mancunians con lo United impegnato a prender 5 goal a Leicester, travolto anch’egli da un dramma emozionale, la ferita ancora aperta dell’addio di Ferguson che, prima Moyes e poi van Gaal, fanno di tutto per non far rimarginare. Perdono anche Everton e Tottenham, entrambe in casa ed entrambe contro avversari modesti, il Crystal Palace ed il West Bromwich. Va persino peggio in Germania, il “tank” Bayern Monaco pareggia senza reti con l’Amburgo di Behrami, penultimo in Bundesliga. Pareggiano anche il Monchengladbach di Kramer, 0 a 0 a Colonia, e lo Schalke 04, 2 a 2 con l’Eintracht Francoforte, dopo gli squilli Champions di Stamford Bridge firmati Draxler e Huntelaar. Fa rumore la caduta del Borussia Dortmund, sconfitto per 2 a 0 a Magonza senza colpo ferire e con rigore fallito da Ciro Immobile, quattro giorni dopo il fendente ai Gunners, una fuga per la vittoria di 50 metri, trascinato da tutta la sua gente. E’ l’Europa che porta prestigio ma anche fatica e dolore, 16 le squadre che non vincono dopo la tre giorni di coppe, un Mal d’Europa che è più comune di quello che si potesse pensare. Chiari i sintomi: infortuni, turnover, prestazioni mediocri, specie per chi era abituato ad avere una settimana di tempo per recuperare le energie e preparare la prossima partita nei minimi particolari e chi non ha il budget per costruire una squadra che possa esser competitiva su tutti i fronti. Soffre di meno chi è vaccinato, non del tutto immune ma comunque preparato. Rose ampie, valori tecnici superiori e un po’ di fortuna con il calendario nel pescare avversari comodi, la formula è questa ma non ha rigore matematico, il Mal d’Europa passa col tempo e con l’esperienza, con l’abitudine a star lì, a navigare in quelle acque, lasciandosi guidare dalla corrente e usando il vento a proprio favore.
…e chi ride
Ridono in nove, di felicità mista, sincera o apparente. L’Italia è governata da loro, da Roma e Juventus entrambe trionfanti e a punteggio pieno. Lo scudetto è sull’asse Torino-Roma, nessuna deviazione in direzione Milano, né si scende verso Napoli. E’ più di una semplice sensazione che giallorossi e bianconeri siano più forti di tutto e tutti nel loro territorio. Agli uomini di Garcia si consegna senza colpo ferire il Cagliari del vecchio maestro Zeman, eppur il Mal d’Europa era intervenuto anche qui, portando con se gli infortuni di Astori ed Iturbe a cui però la Roma ha posto rimedio con Yanga-Mbiwa e Florenzi, autore del goal più romantico della domenica con corsa verso la tribuna e abbraccio alla nonna, una promessa fatta e mantenuta. Strapotere imbarazzante per la Juventus per cui nella testa di tutti bene o male si paventava una lenta debacle dopo le dimissioni del condottiero Conte, l’anima e il volto della rinascita bianconera, ma la Vecchia Signora ha ormai il pilota automatico e le difficoltà e le ansie le lascia all’Europa perché in Italia non c’è storia, anche contro avversari sulla carta di livello, come il Milan di Inzaghi che sembrava rinato dalle ceneri di un ritrovato entusiasmo ma che viene trafitto dalla lama del sapore beffardo di Apache, Carlos Tevez, di nuovo, dopo la doppietta al Malmoe, 1988 giorni dopo l’ultimo timbro europeo, ma meglio tardi che mai. Poi la Spagna, poi ancora loro, Real Madrid e Barcellona, blancos e blaugrana. Otto le reti al Deportivo delle Merengues di Ancelotti, che tornano Galcticos con Ronaldo, James, Bale, Benzema ed Hernandez, doppietta all’esordio per il Chicharito messicano, non più di una ‘semplice’ riserva nell’armata madrilena il che basterebbe per comprendere perché il Mal d’Europa gira da tempo a largo da Madrid. Manita catalana a Levante, Neymar, Rakitic, Sandro, Pedro e Messi, parlando di valori tecnici superiori, e primo abbozzo di fuga, +4 sui Colchoneros e +6 sul Real Madrid. Mal d’Europa a chi? Sorprendono poi il Villarreal, reduce dalla sfida in Europa League contro il Borussia Monchengladbach e autore di un poker vincente al Rayo Vallecano, e il Siviglia trascinato da Bacca e vincente a Cordoba dopo il 2 a 0 al Feyenoord. La Francia e la Germania che non ti aspetti in Saint Etienne e Wolfsburg, vincenti rispettivamente con Lens e Bayer Leverkusen, la risata che sorprende in un campionato in cui a piangere, almeno per un giorno, sono le dominatrici PSG e Bayern Monaco. Si ride a Londra, sponda Gunners, l’Arsenal travolge l’Aston Villa per 3 a 0, e non è una sorpresa, gli uomini di Wenger sono noti ormai per i loro inizi spumeggianti, pioggia di goal, prestazioni e risultati positivi per poi perdersi al giro di boa, a metà stagione, quando cominciano a farla da padroni la profondità della rosa e l’esperienza che ai Gunners mancano da una vita. Un cambio di tendenza, però, comincia a registrarsi per chi era abituato a far saluti d’addio e non di benvenuto, lo scorso anno Ozil, questa estate Alexis Sanchez e a gennaio chissà, sussurri dicono di capelli lunghi e un po’ di sangue uruguagio, forse, ma questa è un’altra storia…
La storia, invece, del Mal D’Europa affligge ed affliggerà a turno, senza certezza. E’ un po’ come ‘giocare’ alla roulette russa, non succede ma se succede tutti a rifugiarsi negli alibi europei. L’Europa dà e l’Europa toglie ma è uno dei motivi per cui il calcio resta uno degli sport più imprevedibili. Prestigio o peso, forza o debolezza, non esiste una certezza assoluta, o forse una sì, quella del campo, che magari ribalterà gli ultimi risultati mandando in fumo le parole di chi cerca una teoria valida e univoca che dia una spiegazione al calcio. Ma alla fine, come sempre, la miglior formula è quella di chi vince.
A cura di Andrea Cardone
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