Napoli, 10 maggio 1987. Lo stadio ‘San Paolo’, gremito di tifosi trepidanti, accoglie la squadra partenopea che si accinge ad ospitare la Fiorentina nella penultima giornata di campionato da prima della classe. La squadra allenata da Ottavio Bianchi, capitanata da Diego Armando Maradona, è ad un passo da un’impresa mai compiuta in 61 anni di storia societaria: serve perlomeno mantenere il vantaggio in classifica sull’Inter, però, per portare a casa il primo scudetto della storia partenopea. Al di là delle scaramanzie l’atmosfera è carica e i sostenitori azzurri si sentono sicuri: è il giorno giusto. E non sbagliano: l’1-1 firmato da Carnevale e Roberto Baggio e la contemporanea sconfitta interista in casa dell’Atalanta rendono realtà un sogno che pareva impossibile: il Napoli è campione d’Italia.
La stagione 1986/87 segna uno dei punti di svolta del calcio italiano: la Juventus campione in carica si appresta a salutare Michel Platini (si ritirerà a fine stagione) con un nuovo allenatore, Rino Marchesi. L’Inter ingaggia proprio l’ex tecnico bianconero, Giovanni Trapattoni, per rilanciare le ambizioni di una squadra che non vince lo scudetto dal 1980. Il Milan dà inizio all’era Berlusconi con una serie di grandi acquisti come Roberto Donadoni, Giovanni Galli, Giuseppe Galderisi e Daniele Massaro. Il Napoli è l’unica tra le squadre di vertice ad aver cambiato poco o nulla rispetto al terzo posto dell’anno precedente: il presidente Corrado Ferlaino e il direttore generale Italo Allodi puntano tutto sul momento magico di Diego Armando Maradona, che arriva dal trionfo del Mondiale messicano. Gli acquisti più significativi sono quelli di Andrea Carnevale dall’Udinese e Nando De Napoli dall’Avellino: due rinforzi in più, in attacco, per il Pibe de Oro. La stagione parte alla grande, con tredici risultati utili consecutivi.
Nemmeno la sconfitta ai rigori in Coppa Uefa contro il Tolosa (in cui tra l’altro è Maradona a sbagliare l’ultimo tiro dal dischetto) riesce a togliere slancio ai partenopei. Nei primi tre mesi di campionato spiccano il 3-1 casalingo contro il Torino, il 2-1 a Genova contro la prima Sampdoria di Vujadin Boskov e altri due successi esterni, a cavallo fra ottobre e novembre, contro la Roma (1-0) e soprattutto contro la Juventus, con una brillante rimonta nel finale (3-1). L’unica squadra a battere il Napoli nel girone d’andata è la Fiorentina: non basta un gol di Maradona per avere ragione dei gigliati, che compiono l’impresa con le reti di Ramon Diaz, Giancarlo Antognoni e Paolo Monelli. Il Napoli si scrolla di dosso le scorie di quel match dopo quella batosta e, grazie a cinque vittorie e due pareggi in sette partite, viaggiano sicuri in testa alla classifica. In primavera, però, il ritmo forsennato dei mesi precedenti si fa sentire: i partenopei raccolgono solo sei punti sui dodici disponibili tra la 23esima e la 28esima giornata (tra questi anche la sconfitta per 0-1 in casa dell’Inter e la pesante sconfitta per 0-3 a Verona contro l’Hellas) e arrivano alla penultima partita con tre punti di vantaggio sui nerazzurri. Il match contro la Fiorentina è decisivo: con una vittoria lo scudetto è vinto, con un pareggio bisogna sintonizzare la radiolina sulla cronaca di Atalanta-Inter e sperare in una debacle degli uomini allenati dal Trap, una sconfitta rimetterebbe in gioco persino la Juve, in caso di vittoria bianconera a Verona.
Al San Paolo non entra uno spillo, l’attesa è incredibile. C’è un po’ di timore per quanto accaduto all’andata: in quel match il Napoli non sembrava poter proporre contromisure adeguate alla squadra di Eugenio Bersellini. Ma davanti ai tifosi di casa è tutto diverso, i partenopei attaccano sin dall’inizio e passano al 29’, grazie a uno splendido scambio fra Bruno Giordano e Carnevale, con quest’ultimo che trafigge Marco Landucci per l’1-0. Il Napoli, però, molla un attimo e al 39’ subisce il pareggio. A firmarlo è un giovane di belle speranze che qualche anno dopo farà la storia del calcio italiano: Roberto Baggio. Il suo calcio di punizione, leggermente deviato, è imprendibile per Claudio Garella. Da Bergamo, però, arrivano notizie confortanti: un’autorete di Riccardo Ferri ha consentito all’Atalanta di portarsi in vantaggio contro l’Inter. Il pareggio diventa così sufficiente per realizzare il sogno tricolore. Il secondo tempo passa lentissimo: i tifosi hanno gli occhi rivolti verso il campo e le orecchie vicine alla radiolina.
Il risultato, però, non cambia né a Napoli né a Bergamo: il Napoli è campione d’Italia per la prima volta nella storia, i tifosi ubriachi di felicità invadono in campo per abbracciare i proprio beniamini. Quel campionato vinto non è solo la festa del Napoli, della sua dirigenza, del suo staff tecnico o dei suoi calciatori, da Maradona ai ben dieci componenti della rosa nati in Campania (Giuseppe Bruscolotti, Luigi Caffarelli, Antonio Carannante, Nando De Napoli, Raffaele Di Fusco, Ciro Ferrara, Massimo Filardi, Ciro Muro, Francesco Romano, Giuseppe Volpecina). È davvero la festa di tutta la città. Poco più di un mese dopo, con la vittoria nella doppia finale di Coppa Italia contro l’Atalanta (3-0 a Napoli, 1-0 a Bergamo) il Napoli completa anche una storica doppietta, riuscita in precedenza solo al Grande Torino e alla Juventus. La ciliegina sulla torta di una stagione che per tantissimi tifosi è stata una piccola grande occasione di riscatto da difficoltà che vanno ben oltre lo sport. Perché il calcio, come poche altre passioni, riesce a fare anche questo.
fonte:sportmediaset
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